Secondo l’ultimo report dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale il 20% del territorio nazionale è a rischio frana PAI (Piano per l’Assetto Idrogeologico). E il peggio è che in queste aree vivono 1,3 milioni di persone. Insomma il Bel Paese cade a pezzi ma sembra che ci vogliano disastri e morti per accorgersene.
Roma – É il proprio di dirlo: “piove sul bagnato”, al punto che l’Italia è davvero una… frana! Non bastava, infatti, quello che abbiamo vissuto negli ultimi due anni: oltre alla pandemia, la crisi economica, il rincaro delle bollette energetiche, la perdita di posti di lavoro, l’Italia è anche il Paese europeo più a rischi franoso.
Ora, le frane spesso si sono acuite per l’incuria dell’uomo e dal mancato intervento di un piano nazionale concreto nel fermarle. Queste non sono chiacchiere da bar, ma il risultato dell’ultimo report dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), secondo cui il dissesto ecologico rappresenta un vulnus per l’Italia per gli impatti che esso ha non solo sulla popolazione, ma anche sulle infrastrutture di comunicazione e sul sistema socio-economico in generale.
Il rapporto, aggiornato al 2018, evidenzia come l’urbanizzazione selvaggia a partire dal dopoguerra abbia prodotto effetti deleteri, poiché effettuata senza una seria pianificazione territoriale. Facendo crescere, in questo modo, l’esposizione a frane e alluvioni. Emblematico al riguardo, ricordare il film del grande Francesco Rosi, “Le mani sulla città”, in cui viene denunciata la corruzione e la speculazione edilizia dell’Italia negli anni ’60 del secolo scorso e di Napoli in particolare.
Un film eloquente per comprendere come è stato trattato il nostro territorio, offerto in pasto a speculatori, corruttori e malfattori. Ed ecco il bel risultato! Si è passati dal 2,7% di superficie artificiale negli anni ’50 al 7,65% del 2017. Dalla mosaicatura 2020-2021 emerge che il 20% del territorio nazionale è a rischio frana PAI (Piano per l’Assetto Idrogeologico). L’8,7% delle superficie fa parte delle classi di rischio più elevate (P3 e P4). Sono invece 26.385 chilometri quadrati a elevato o molto elevato pericolo franoso. Il fatto è che in queste aree vivono 1,3 milioni di persone.
Il dato è stato rilevato da Openpolis, una fondazione indipendente e senza scopo di lucro che promuove progetti per l’accesso alle informazioni pubbliche, la trasparenza e la partecipazione democratica. Inoltre pratica giornalismo basato sui dati, il cosiddetto data journalism. Le regioni a maggior rischio sono nell’ordine: Valle d’Aosta, Basilicata e Molise. Se si rapportano i dati alla popolazione che risiede nelle zone più a rischio, i dati fanno provocano i brividi. Su 7904 comuni, infatti, la percentuale di pericolo franoso supera il 50%, mentre, addirittura, in due comuni, Sauze d’Oulx (Torino) e Panni (Foggia), la percentuale è del 100%.
Le province con maggiori edifici a elevato rischio di frane sono nell’ordine: Salerno, Genova, Torino e Lucca. Mentre i livelli più bassi si registrano a Gorizia, Monza e Brianza, Milano. É chiaro che il cambiamento climatico ha recitato un ruolo importante, ma gli esperti ritengono che la strategia migliore resta la prevenzione e non la cura.
Lo dicevano già i nostri nonni contadini che, ad esempio, non bisogna distruggere gli argini dei fiumi, altrimenti esondano. Come, invece, è puntualmente avvenuto, grazia all’incuria dell’uomo. Infatti, l’Ispra consiglia di attuare opere infrastrutturali per il consolidamento dei pendii instabili e potenziare la rete di monitoraggio. Inoltre, costruire su terreni dove il rischio è più basso, soprattutto se si tratta di scuole, ospedali e uffici pubblici.
Considerazioni che rappresentano l’ABC della convivenza civile, eppure durante la campagna elettorale non si è sentito minimamente discutere di difesa del territorio e di dissesto idrogeologico. Solo liti da cortile e poi il nulla, il vuoto. Ed intanto il Bel Paese frana, in tutti i sensi!