I cambiamenti del mondo del lavoro dovuti alle nuove tecnologie sono stati devastanti per chi già faticava a tirare avanti. Senza interventi decisi la situazione purtroppo è solo destinata a peggiorare. La politica latita, anche in questo settore.
Roma – Il lavoro è stata una delle chiavi di volta del capitalismo, attraverso cui si è potuta creare l’economia di mercato. Negli ultimi decenni il comparto è andato in crisi per una serie di motivi. Globalizzazione dei mercati, finanziarizzazione dell’economia, avvento delle nuove tecnologie. Su questo scenario compromesso si è poi riversata la pandemia, esacerbando una crisi economica già presente.
Moltissime persone si sono trovate disoccupate dalla sera alla mattina. C’è chi ipotizza scenari futuri in cui il lavoro sarà sempre meno presente nella vita quotidiana. Si è partiti da un interrogativo fondamentale, il vero dilemma della contemporaneità. Ovvero che cosa succede in una società fondata sul lavoro quando questo viene a mancare?
Da qui ha tratto origine lo studio recentemente pubblicato da Domenico De Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro presso l’Università La Sapienza di Roma, nonché volto noto di molti talk show televisivi. Un’analisi sui mutamenti epocali dell’ultimo secolo, ma anche proiettata al futuro e agli effetti tangibili nella quotidianità.
“…Nella storia umana vi sono state quattro ondate di progresso tecnologico – sostiene De Masi – macchine meccaniche, elettromeccaniche, digitali e ora l’intelligenza artificiale. La differenza rispetto al passato è che oggi un cambiamento deve essere assimilato nel giro di pochissimo tempo se si vuole rimanere al passo. Qualora si facesse fatica ad assorbire un mutamento così repentino, gli effetti sono quelli che vediamo tutti i giorni, se abbiamo ancora la forza e la capacità di guardare oltre il proprio naso…”.
“…Si avranno aumento delle disuguaglianze e crescita del divario tra ricchi e poveri, coi primi sempre più ricchi ed i secondi sempre più poveri e numerosi. Inoltre, un welfare smantellato, che non riesce più a dare risposte ai bisogni dei più svantaggiati. Su questo affresco si è adagiata come su un sofà la Grande Stampa asservita ai poteri finanziari, da cui riceve laute prebende e che non sa distinguere, o fa finta di non saperlo fare, tra ciò che è superfluo e quello che indispensabile e necessario…”.
De Masi pone interrogativi allarmanti, che una classe politica e intellettuale minimamente decenti dovrebbero affrontare e discutere. La tecnologia progredirà ulteriormente e la realtà digitale avrà reso avrà reso il mondo una unica e grande agorà. La produzione di beni e servizi impiegherà solamene i tre quarti dell’energia umana impiegata oggi.
All’inizio del secolo scorso gli italiani erano 40 milioni e lavoravano 70 miliardi di ore annue. Oggi siamo 60 milioni circa e si lavora in un anno 40 miliardi di ore. Se questa tendenza sarà confermata nei prossimi anni, avremo una popolazione crescente e ore annue lavorate in calo. Come sarà distribuita la ricchezza? Quali risposte si daranno ai disoccupati e ai poveri che aumenteranno anche nei Paesi ricchi? Secondo questo paradigma le nuove generazioni saranno occupate per il lavoro un dodicesimo del tempo a disposizione nell’arco di tutta la vita.
Ci potremmo trovare di fronte a un paradosso: all’aumento della produttività si registrerà un incremento della disoccupazione. La vera sfida, secondo De Masi, sarà su come verrà impiegato il tempo libero a disposizione dei giovani. Sarà una strada verso la civiltà o la barbarie? Ah, saperlo! Visto il comportamento degli esseri umani negli ultimi secoli, se non da quando si sono levati su due zampe, le prospettive sono tutt’altro che rosee.