Come accade spesso arrivano gli studi a confermare fatti e verità sotto gli occhi di tutti. La qualità della vita è in continuo ribasso, la miseria dilaga di crisi in crisi, tra inflazione e sfiducia nel futuro. Dati alla mano sapranno i timonieri della nave Italia evitare un crollo sempre più vicino all’orizzonte?
Roma – La miseria galoppa a velocità sostenuta. Lo si subodorava già andando in giro per le nostre città. Le condizioni di vita delle persone in generale stavano peggiorando di giorno in giorno e la sofferenza era in costante aumento. Almeno, questo ero lo spettacolo che si palesava a chi aveva occhi per vedere ed orecchie per sentire. Operazioni complicate per chi non riesce a distogliere l’attenzione dai prodotti del divertimentificio, dalle armi di distrazione di massa, dai dispositivi tecnologici che ci portiamo costantemente appresso, divenuti ormai parte dell’armamentario standard dell’uomo del XXI secolo.
Ora ci sono anche i numeri a dare una valenza scientifica a quella che fino a poco fa era soltanto una percezione. La conferma arriva dal MIC, Misery Index di Confcommercio, organismo di rappresentanza delle imprese impegnate nel commercio, nel turismo e nei servizi. Si tratta di un indice economico di sofferenza o di infelicità, a volte riportato come indice di miseria, quale mero calco linguistico dell’inglese misery index, ideato dall’economista Arthur Okun.
Altro non è che il risultato della somma tra tasso d’inflazione e quello di disoccupazione. Ovvero è un indice che dal punto di vista macroeconomico misura il disagio sociale di un Paese. E noi non siamo messi bene, tutt’altro. L’indicatore dell’ultima rilevazione del mese di marzo è cresciuto rispetto a febbraio. Nonostante venga sottostimata la disoccupazione estesa, nell’impossibilità di individuare il numero di scoraggiati e sottoccupati, viene confermato il trend al peggioramento.
La crescita dell’area del disagio sociale è il frutto della componente inflazionistica dell’economia. Il persistente aumento dei prezzi, in continua ascesa, rende complicato il recupero dell’economia e quindi del mercato del lavoro. Da una situazione siffatta non può che scaturire un’estensione del malessere sociale. Dal report diffuso alla stampa è emerso che anche a marzo 2022 il tasso di disoccupazione ufficiale è risultato in ridimensionamento, 8,3% a fronte dell’8,5% di febbraio.
Il dato è sintesi di una crescita degli occupati,+81mila unità su febbraio, e di una riduzione del numero di persone in cerca di lavoro, -48mila unità in termini congiunturali. A questa evoluzione si è associata anche una diminuzione degli inattivi, -72mila unità su febbraio, favorendo l’ulteriore innalzamento del tasso di attività. Il combinarsi di queste dinamiche ha determinato un tasso di disoccupazione esteso pari al 9,4%. Anche a marzo i prezzi dei beni e dei servizi ad alta frequenza d’acquisto hanno mostrato un incremento, con una crescita al 6,5% tendenziale.
Il permanere di una dinamica espansiva dei prezzi, soprattutto per quei beni e servizi che le famiglie acquistano con maggior frequenza e ai quali è difficile rinunciare, sono inevitabilmente destinate a modificare in negativo i comportamenti d’acquisto delle famiglie. Si hanno a disposizione numerose analisi, report e ricerche da parte di studi istituzionali, Istat, Cnel, Università, o di associazioni di categoria come Confcommercio o CGIA.
Quindi non si può dire che il governo non abbia a disposizione gli elementi conoscitivi per la soluzione dei problemi. Semmai si avverte molto forte la mancanza di volontà politica, passione, competenza e decisione. Senza queste peculiarità la direzione è una sola: verso il baratro!