La questione del termovalorizzatore capitolino, termine il cui utilizzo viene contestato da più parti, non solo sta subendo rallentamenti in Parlamento ma è ancora oggetto di studi da parte di enti ufficiali. Si parla di soglie limite entro le quali si potrebbe “stare sereni”. Ma è possibile fidarsi?
Roma – Tutti hanno paura dell’inceneritore. Infatti soltanto a parole la politica si schiera a favore della riconversione ecologica e per la difesa dell’ambiente. Poi nei fatti succede come nella Capitale, dove si è deciso di costruire un termovalorizzatore scatenando un dibattito molto acceso fra i partiti che non porterà da nessuna parte. Ormai la decisione è stata presa, ancora una volta fottendosene della salute dei cittadini.
Per dovere di cronaca è necessario distinguere fra i termovalorizzatori vecchi e quelli nuovi. Quello di cui stiamo parlando è un inceneritore che converte il calore derivante dalla combustione dei rifiuti in energia destinata ad altro uso, mediante una turbina a vapore. Alla struttura può essere inoltre associato un impianto di cogenerazione per il teleriscaldamento o di gassificazione per produrre gas di sintesi.
Solitamente un termovalorizzatore agisce sulla spazzatura indifferenziata. In Italia ce ne sono 37 attivi, in primo luogo in Lombardia e in Emilia-Romagna. La Valle d’Aosta, le regioni del centro e la Sicilia ne sono sprovviste. Un report dell’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale, ci ha informato che 16 di questi impianti hanno iniziato ad andare a regime prima del 2000, venendo sottoposti negli ultimi anni a delle ristrutturazioni.
Il flusso di rifiuti assegnati ad un impianto del genere negli anni è stato più o meno stabile, oscillando tra il 16% ed il 18%, pari a circa 5 milioni di tonnellate. Nel resto d’Europa i numeri sono più elevati, con una media del 28%. Subito si sono avvertiti gli squilli di tromba di chi è favorevole, la maggior parte dei partiti politici e della grande stampa, che ha diffuso una serie di sondaggi in cui emerge una altissima percentuale, l’84%, di cittadini capitolini favorevoli all’impianto. Mettendo in risalto la produzione di energia elettrica e di gas e omettendo gli effetti deleteri sull’ambiente e sulla nostra salute.
Non si tratta di considerazioni di qualche ambientalista integralista d’assalto, ma delle conclusioni a cui è giunta anche l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il grave timore è rappresentato dalle emissioni che servono per il funzionamento di questi impianti. C’è da segnalare che le strutture di recente costruzione, come quelle di Torino e Parma, hanno un livello di emissioni simile a quello di uno industriale, ma con una concentrazione al di sotto della soglia limite per la salute. Le emissioni di questi inceneritori sono gassose e vengono trattate con metodi appositi per ridurre la concentrazione delle sostanze inquinanti.
Anche secondo l’OMS i termovalorizzatori più moderni e all’avanguardia sembrano non manifestare danni evidenti né all’ambiente, né alla salute. Mentre sono senza dubbio dannosi gli impianti più vecchi perché obsoleti e usurati, costruiti negli anni ’90. A conferma di ciò, uno studio dell’anno scorso, a cura dell’Università di Tor Vergata di Roma e del Politecnico di Milano, ha confermato che i danni alla salute sono legati agli impianti più vecchi. Esiste infatti, nelle aree ove sono presenti tali strutture, un rischio maggiore di gravi malattie, quali tumori allo stomaco, al colon, al fegato e ai polmoni.
Ma di fronte a queste conclusioni, come reagirebbe la famosa casalinga di Voghera, figura sempre evocata per via del grande senso pratico di cui è dotata? La differenza tra impianti nuovi e vecchi, se valida a livello scientifico, perde di significato all’atto pratico. È inutile giocare sulle soglie limite per la salute, per la quale deve valere sempre il principio di precauzione. Anche perché impianti del genere avrebbero bisogno di controlli periodici e seri. Ma con la nostra storia di malaffare, collusione e corruzione, meglio lasciar perdere!