Secondo la Confederazione generale italiana dell’Artigianato, ben 46mila imprese italiane rischiano di diventare prede dell’usura, coinvolgendo circa 500mila persone. In prevalenza sono piccole imprese, attività commerciali e artigiani che vivono da ormai un paio d’anni e più un lungo periodo di insolvenza con la crisi economica.
C’era da aspettarselo: prima o poi sarebbe arrivata con le sue fameliche fauci e con i suoi tentacoli a stringere in una morsa mortale numerose piccole imprese. Stiamo parlando di lei: l’efferata usura, che compare ogni qualvolta fa capolino una crisi economica.
Il grido d’allarme è stato lanciato dall’Ufficio Studi della CGIA (Confederazione generale italiana dell’Artigianato) che in un suo recente report ha diffuso numeri agghiaccianti: ben 46mila imprese italiane rischiano di diventare prede dell’usura. Non sono numeri da poco, se si pensa che danno lavoro a circa 500mila persone. In prevalenza sono piccole imprese, attività commerciali e artigiani che stanno vivendo un periodo di insolvenza inaspritosi con la crisi economica.
Per questi motivi si trovano in una sorta di lista nera stilata dalla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia e nell’impossibilità di accedere ad un nuovo prestito. Questa misura equivale ad una vera e propria condanna a morte, una sorta di “schedatura” con la quale non si può beneficiare di alcun sostegno economico dal sistema bancario, rischiando la chiusura dell’attività nel migliore dei casi o, nel peggiore, di rimanere vittima degli usurai. Bella prospettiva per una Stato che, a parole, si professa civile e democratico e che, invece, nei fatti, lascia i suoi cittadini nella disperazione più cupa!
Secondo la CGIA per cercare di fermare questa piaga purulenta che incancrenisce il tessuto economico della società, bisogna incrementare le risorse messe a disposizione del “Fondo di prevenzione dell’usura”. Questo fondo fu istituito presso il Ministero del Tesoro con la Legge 7 marzo 1996 n. 108 per concedere finanziamenti alle piccole e medie imprese che si trovano in difficoltà finanziaria, con l’obiettivo di prevenire il fenomeno dell’usura.
Obiettivo che non è stato poi raggiunto, se puntualmente il fenomeno si ripete e peggiora sempre di più. C’è da evidenziare che molte attività colpite dalla mannaia dell’insolvenza spesso non hanno alcuna responsabilità della cattiva gestione finanziaria. Molte volte questa situazione si manifesta, ad esempio, per la mancata riscossione dei pagamenti da parte dei committenti o per forti ritardi o per fallimenti che coinvolgono tutta la filiera.
Qualche aspetto positivo, comunque, emerge. Nell’ultimo anno la Centrale dei Rischi ha visto diminuire il numero delle imprese segnalate di oltre 30mila unità. Questo risultato è stato raggiunto dalle misure a favore delle PMI (piccole e medie imprese) introdotte nel 2020 per combattere la pandemia. Le grandi aree metropolitane sono quelle a più alto rischio di imprese insolventi e, quindi, di usura. I dati ripartiti sul territorio confermano una criticità presente in altri aspetti della vita socio-economica nazionale. La zona più a rischio ancora una volta è il Sud (vatti a sbagliare), poi a debita distanza seguono le altre aree del Paese.
E la politica cosa fa? Dorme o fa finta di farlo, pronta a svegliarsi solo per elargire prebende e risorse ai grandi gruppi finanziari e alle banche in difficoltà e in dissesto, salvate con denaro pubblico. In quest’ultimo caso la Banca d’Italia fa finta di non vedere, ma poi è pronta a stilare black list per dei piccoli imprenditori, colpevoli solo delle avverse circostanze. I potenti sono potenti, mentre gli altri possono pure affogare. Come diceva Il Marchese del Grillo: “Io sono io e voi non siete un cazzo!”