L’olio d’oliva italiano rischia di scomparire

Quello che è sempre stato un vanto del Made in Italy, l’olio extravergine di oliva Dop, oggi è a forte rischio di sparizione. Si rende così necessario un intervento deciso da parte delle istituzioni che dovrebbe mettere al primo posto la filiera agricola nell’agenda politica del prossimo governo.

Non tutto fila liscio… come l’olio! No, non stiamo attraversando un bel periodo. L’ultimo biennio ci ha messi a dura prova: la pandemia, la crisi sociale ed economica che ne è scaturita e poi, come ciliegina sulla torta, la guerra in Ucraina con l’impennata dei costi energetici. Se ci aggiungiamo la crisi climatica, con i suoi disastri -basti ricordare la recente alluvione nelle Marche – il quadro non può che essere a tinte fosche.

Uno dei settori che più stando patendo è la filiera agroalimentare. Le grida di doglianze sono state lanciate da Coldiretti (la più grande associazione di rappresentanza dell’agricoltura) e Filiera Italia (associazione che unisce agricoltura e industria agroalimentare) e i numeri sono terrificanti: 70mila imprese agricole, il 10% del totale, costrette a lavorare con perdite enormi, sono a rischio chiusura, anche a causa dell’aumento dell’inflazione. Non se la passano meglio circa 20mila imprese della trasformazione alimentare, che occupa oltre 4 milioni di lavoratori. Molte di loro stanno ricorrendo alla cassa integrazione.

Il mercato dell’olio d’oliva – uno dei vanti del Made in Italy – è a forte rischio. Nel nostro Paese c’è il più vasto assortimento di olii su scala mondiale: 533 varietà di olii dalle Alpi alla Sicilia, col maggior numero di olio extravergine a denominazione di origine protetta in Europa e decine di produzioni a km zero legate ai territori. Una realtà corposa che, oltre a tutelare l’ambiente e la biodiversità, rappresenta un’economia che vale oltre 3 miliardi di Euro, frutto del lavoro di 400mila imprese tra aziende agricole, frantoi e industrie di trasformazione. L’Italia è tra i primi tre maggiori consumatori di olio extravergine di oliva, dopo la Spagna e prima degli USA.

Alberi di olive con cui si prepara l'olio in un campo di erbe e cielo terso.
Oliveti, olive e olio sempre più a rischio

Ma stiamo assistendo a una drastica riduzione della produzione nazionale di olive. Si stima, infatti, che 1 bottiglia di olio extravergine d’oliva su 3 sia a rischio scomparsa dagli scaffali dei supermercati. È quanto emerso dall’ultimo report diffuso nelle scorse settimane: “2022, la guerra dell’olio Made in Italy” a cura di Coldiretti e Unaprol (Consorzio Olivico Italiano). La raccolta delle olive riguarda tutto il territorio nazionale. Comincia nel Mezzogiorno per arrivare fino al Nord del Paese, a causa dei cambiamenti climatici. Cosa impensabile fino a qualche decennio fa e, ora, diventata realtà. In Sicilia si parla di un crollo intorno ai 330 milioni di olio prodotto. In Puglia e Calabria, note per la produzione dell’olio extravergine di oliva (Evo), la cui produzione equivale al 70% della produzione nazionale, è peggio che andar di notte!

In Puglia, regione regina dell’ovicoltura nazionale, si parla di una perdita del 50%. La situazione è stata determinata prima dalle gelate fuori stagione in primavera e poi dalla recente siccità. C’è da dire anche che molte zone della Puglia, il Salento in particolare, già da qualche anno sono vittime degli effetti nefasti della Xylella, un batterio che produce letali alterazioni alla pianta ospite, che ha vanificato almeno il 10% della produzione italiana. Risalendo lo stivale, qualche fioca luce nell’oscurità si è intravista. Lazio e Toscana hanno manifestato un andamento a macchia di leopardo, con una crescita produttiva tra il 10 e il 20%. Il Nord d’Italia sembra avere risultati migliori. In Veneto, Liguria e Piemonte si registra una crescita di produzione del 40-60%.

Ulivi secolari uccisi dalla siccità e da una certa politica miope e inadempiente

Ma il colpo finale è giunto con la siccità di questa estate che – a parere degli esperti – è stata la più calda degli ultimi 500 anni. Le alte temperature hanno prodotto stress idrico agli uliveti, danni alla fioritura e alle gemme, soprattutto dove non si è potuto utilizzare le irrigazioni artificiali. Inoltre molte aziende non sono intervenute a causa degli alti costi energetici, di service e di supporti alla nutrizione dei terreni. L’aumento, in media del 50%, non potrà che portare alla chiusura di molte imprese. È necessario un intervento deciso da parte delle istituzioni preposte, che dovrebbe mettere al primo posto la filiera agricola nell’agenda politica. Per la salvaguardia dell’ambiente, delle aziende e di migliaia di lavoratori!

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