Una certa politica e l'imprenditoria peggiore diventano parte integrante delle attività della criminalità organizzata ormai penetrata in profondità nel tessuto sociale dell'Isola e dell'intera nazione. Forte di connivenze e complicità anche a diversi livelli istituzionali.
Trapani – Vasta operazione antimafia denominata “Ruina” in tutta la provincia: un centinaio di agenti di polizia hanno eseguito 13 provvedimenti di fermo emessi dalla Direzione distrettuale Antimafia di Palermo (procuratore Francesco Lo Voi, aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Pierangelo Padova e Francesca Dessì) nei confronti di soggetti appartenenti a Cosa Nostra, alcuni dei quali molto vicini al boss latitante Matteo Messina Denaro.
Tra i 20 indagati, nei confronti dei quali sono state effettuate perquisizioni domiciliari, c’è anche il primo cittadino di Calatafimi, Antonino Accardo, eletto nel 2019 con 1900 preferenze, accusato di corruzione elettorale e di tentata estorsione, con l’aggravante del metodo mafioso. Anche un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere palermitano di Pagliarelli è accusato di rivelazione di notizie riservate.
Le accuse ipotizzate nei confronti degli indagati sono, a vario titolo, associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento personale e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso. Le manette sono scattate per alcuni imprenditori fra i quali Simone Domenico di 46 anni e per Salvatore Barone, ex presidente dell’Atm, l’azienda che a Trapani gestisce il servizio pubblico urbano, poi diventato il presidente di una nota cantina, accusato di associazione mafiosa.
Le indagini hanno permesso di ricostruire una fitta rete di affiliati e fiancheggiatori della compagine mafiosa facente parte del mandamento alcamese, operante principalmente nel comune di Calatafimi-Segesta. Personaggio centrale, al vertice della locale famiglia mafiosa, Nicolò Pidone, già condannato per 416 bis nell’ambito dell’indagine denominata Crimiso che nel 2012 aveva portato all’arresto di affiliati appartenenti anche alle famiglie di Castellammare del Golfo e di Alcamo. All’uomo facevano riferimento le persone fermate che riceveva all’interno di una fatiscente dependance attigua alla sua masseria per coordinare iniziative illecite.
Nella masseria di Pidone sarebbero state prese le principali decisioni riguardanti gli accadimenti ritenuti rilevanti per Cosa Nostra. A dimostrazione dello spessore del referente della famiglia mafiosa locale, è stato progressivamente accertato che l’uomo fosse diventato interlocutore privilegiato di soggetti e personaggi provenienti da altri contesti territoriali, gestiti da altre famiglie mafiose.
Sono stati infatti monitorati anche rapporti extra mandamentali, a dimostrazione di un certo scompaginamento dei tradizionali equilibri scaturenti dalla pressione degli apparati repressivi. Tra gli indagati spiccano i nomi di personaggi già condannati per mafia come Leo Rosario Tommaso, pregiudicato ma anche del cugino Leo Stefano, a carico del quale sono stati documentati contatti recenti con il rappresentante della famiglia di Calatafimi.
Secondo gli investigatori, Leo Stefano era vicino al defunto boss Gondola Vito e al boss condannato Giglio Sergio, entrambi coinvolti nelle vicende della veicolazione dei “pizzini” diretti a Matteo Messina Denaro. Nelle indagini sono finiti però anche soggetti, non gravati da precedenti penali che, a vario titolo, avevano favorito le comunicazioni tra il capo della famiglia di Calatafimi ed altri sodali all’associazione mafiosa fra cui lo stesso Leo Rosario Tommaso.
Ancora una volta una certa politica e l’imprenditoria peggiore diventano parte integrante delle attività della criminalità organizzata ormai penetrata in profondità nel tessuto sociale dell’Isola e dell’intera nazione e pronta a sferrare nuovi attacchi facendosi forte delle complicità di professionisti, funzionari, dirigenti, tecnici e privati cittadini all’apparenza al di sopra di ogni sospetto.
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