La nuova tecnologia è più veloce ed esporrebbe meno ai campi elettromagnetici. La forma d'onda e le altissime frequenze non nuocerebbero alla salute come, invece, farebbe il 4G. Proteste in tutta Europa.
Il 7 settembre scorso si è svolta a Palermo, in Piazza Politeama, una manifestazione si protesta contro le 35 antenne telefoniche, non ancora attive, installate in città. Diversi gli slogan scanditi dai manifestanti e tanti i cartelli sui quali spiccavano tra tutti quelli con la domanda “cui prodest”, a chi giova il 5G?
Il Flashmob si è tenuto contemporaneamente a supporto di altra protesta simile svoltasi davanti al Tribunale di Torino in occasione dell’udienza finale della causa civile intentata dal comitato Rodotà. Oggetto del contendere un ripetitore, alto 25 metri, collocato nei pressi di una scuola di Frossasco, in provincia di Torino. L’intento del comitato è quello di far passare l’idea di un principio di precauzione sul tema dell’inquinamento elettromagnetico, a tutela delle generazioni future.
E’ la prima causa collettiva di questo tipo in Italia ma esistono diversi precedenti internazionali. Poco più di un mese fa, però, il Tar di Catania ha bacchettato il primo cittadino di Messina Cateno De Luca sospendendo, su ricorso proposto da Vodafone, l’ordinanza emessa dal sindaco siciliano sulle emissioni 5G per generiche motivazioni sanitarie.
Alle altre amministrazioni comunali non è rimasto altro che annullare analoghe ordinanze, divenute comunque inefficaci. Il Governo Conte, con una norma varata nel cosiddetto decreto semplificazioni, messo in campo per accelerare l’innovazione digitale, ha stabilito che le amministrazioni comunali non potranno introdurre limitazioni alle nuove reti per la telefonia mobile. Tanto più che l’Italia ha fissato norme più stringenti rispetto a quelle delle altre commissioni internazionali proprio per il livello di emissioni.
Mentre infuriano le polemiche sono in molti a non sapere neppure qual è l’oggetto di proteste e sit in. Con il termine 5G – acronimo di 5th Generation – si intende l’insieme di tecnologie di telefonia mobile e cellulare i cui standard, detti appunto di “quinta generazione”, garantiscono velocità e prestazioni fino a venti volte superiori rispetto al precedente 4G.
Mentre si ci interroga nel merito se il 5G rappresenti o meno un rischio per la salute o, di contro, un’opportunità a complicare le cose vi sono una miriade di fake news che impazzano sul web addirittura attribuendo la diffusione del Covid-19 alla nuova tecnologia telefonica. Non sappiamo chi abbia interesse ad alimentare queste bufale, prive di fondamento scientifico, fatto sta che un certo allarme si è diffuso comunque fra la popolazione.
Al momento, e panico ingiustificato a parte, sul 5G non vi sono dati che confermino gli effetti dannosi di questa tipologia di telecomunicazioni per la nostra salute. Pare invece che utilizzando frequenze più alte del 4G ci sarebbero teoricamente meno rischi rispetto agli attuali sistemi proprio per una minore esposizione all’inquinamento elettromagnetico.
Lo stesso Istituto superiore di Sanità ha assicurato che le antenne di nuova generazione e le relative emissioni rispettano le linee guida internazionali (Iarc e Oms) e non generano rischi per la salute. Addirittura nel decreto “Cura Italia” il governo ha riconosciuto l’importanza della rete di quinta generazione come servizio essenziale, ancor più durante l’emergenza Covid quando la maggior parte dei cittadini ha fatto affidamento su internet per studiare o lavorare.
La paura o il sospetto verso le innovazioni è comprensibile ma in questo caso sta rasentando la follia. Non di rado apprendiamo di gravi atti vandalici contro antenne 5G o, addirittura, contro postazioni radio o ripetitori tv scambiati per antenne di telefonia. Beninteso non solo in Italia ma anche in Gran Bretagna, Olanda, Francia e in altri civilissimi Paesi europei. Il paradosso è che più sono stringenti i limiti imposti dalla normativa più antenne sono necessarie: “…Ho solo una tacca, qui non piglia, ho solo due tacchette, ti sento male e la rete non va…“. Ubi maior, minor cessat.
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