Domani saranno trascorsi esattamente 30 anni dalla strage di Capaci, uno dei momenti più tristemente decisivi per la storia italiana. Un attentato ancora trattato con estremo riserbo, in un continuo tira e molla di accuse, teorie, mezze rivelazioni e smentite. Lo stragismo è finito, la criminalità ha mutato pelle. La lotta per la legalità continua.
Palermo – Il 23 maggio 1992 morivano sulla A29 il magistrato antimafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, magistrato, e i tre agenti della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Una carica di tritolo misto ad altre sostanze ha causato una deflagrazione tale da ferire altre 23 persone e sventrare il manto stradale. La tragedia ha avuto eco internazionale, una manifestazione di violenza tanto spavalda e vile da valicare i confini nazionali.
Da quel momento in avanti è stato un continuo susseguirsi di processi tra condanne e assoluzioni, conferme e ripensamenti. Le indagini e i processi principali, procedimenti divenuti noti come “Capaci Uno” (1992-2008) e “Capaci Bis” (2008-2020), hanno tentato di stabilire esecutori materiali e mandanti. Sono stati numerosi gli arresti e le condanne al fine pena mai, tra le quali si annoverano personaggi di spicco di Cosa nostra come Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Salvo Madonia e Lorenzo Tinnirello. Sempre nel 2020 si è aggiunto alla schiera di ergastolani il latitante Matteo Messina Denaro. Ma è sentimento comune che la piena verità non sia ancora stata portata alla luce.
Per chiarire le “…Zone d’ombra dovrebbero parlare anche alcuni esponenti delle istituzioni dell’epoca, così come i personaggi di Cosa nostra che sono ancora al 41 bis…”. Queste le dichiarazioni del Procuratore generale Lia Sava in merito alla vicenda. Quanto accaduto ha radici profonde che affondano in terreni torbidi e imperscrutabili. Tanto che si è arrivati a indagini mirate alla ricerca dei cosiddetti “mandanti occulti”. Politica, frange deviate delle Forze dell’Ordine, imprenditoria, pare non ci sia categoria che possa salvarsi dalle infamanti accuse. A suo tempo ha fatto scalpore l’indagine per concorso in strage, avviata nel 1998 e archiviata nel 2002, su Berlusconi e Dell’Utri, siglati nel registro degli indagati come “Alfa” e “Beta”. Col tempo la cosa è stata normalizzata, come se il tempo lavasse accuse mai incontrovertibilmente confutate.
Non sono i soli nomi evocativi. Una delle figure chiave dell’attentato è divenuta conosciuta presso l’opinione pubblica come “faccia da mostro”, appellativo dovuto alle cicatrici sul suo volto. Per un certo periodo tale identità è stata fatta coincidere con quella di Giovanni Aiello, ex poliziotto, ma in seguito all’archiviazione del relativo processo si è tornati nel regno della probabilità. Può essere. Può non essere.
L’epoca delle stragi si può dire finita, per quanto si viva ancora immersi nelle sue conseguenze. Eppure non è ancora il momento di abbassare la guardia. Per quanto la criminalità organizzata abbia cambiato volto, si sia fatta bella e borghese, per quanto possa avere studiato, messo su famiglia e raggiunto l’agognato posto fisso in settori chiave del tessuto sociale, gli individui che si espongono e lottano quotidianamente per eradicarla e contrastarne l’avanzata sono ancora vittime di minacce e ritorsioni.
Negli ultimi mesi sono finiti sotto i riflettori per la loro perseveranza e forza di spirito don Maurizio Patriciello, parroco del famigerato Parco Verde di Caivano, e don Antonio Coluccia, il prete “antispaccio” di Roma Sud, minacciati più volte con intimidazioni ed esplosivi e attualmente sotto scorta. E ancora, Biagio Chiariello, comandante dei Vigili di Arzano, e Paolo Borrometi, giornalista e vicedirettore dell’Agi. Anche loro sotto scorta. Gli esempi virtuosi ci sono eccome, e vanno raccontati.
È importante ricordare la presenza costante di questi argini contro la malavita, oltre al contributo dei compianti eroi che hanno dato la vita per la legalità e la libertà. Quella contro le mafie è una battaglia da combattere al presente con un occhio al futuro. Come si auspicava Paolo Borsellino, assassinato a poche settimane di distanza dall’amico e collega Falcone, “…Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo…”.