La sicurezza sui posti di lavoro rimane ancora una parola. Mentre la sua assenza continua a mietere vittime. Occorrono maggiori controlli in tutti i settori industriali e commerciali. Anche all’interno delle cucine di certi ristoranti accadono incidenti gravi non denunciati. Dunque non solo nelle fabbriche. E’ impossibile morire di lavoro in una società che si definisce civile. Senza un’adeguata vigilanza e forti sanzioni per gli inadempienti è inutile parlare di tutelare l’incolumità dei lavoratori.
Roma – L’anno scorso passerà alla storia come il periodo in cui si sono verificati più infortuni e morti sul lavoro: 1.404. Un triste primato per l’Italia, a testimonianza dello scarso valore che diamo ad uno dei capisaldi dell’economia di qualsiasi natura: il lavoro. Il fenomeno è diventato talmente pervasivo che si è creato un meccanismo perverso e aberrante: l’attesa del prossimo incidente e di un’altra vita spezzata.
Ma non si tratta solo di una dramma umano e sociale per le ricadute che ha sulle famiglie delle vittime e sull’intera collettività. Costituiscono pure un sostanzioso danno all’intera economia. Si parla di un’incidenza negativa sul Pil che oscilla tra il 3% e il 6%. Questo è un dato che non è venuto fuori al bar, tra avventori, all’ora dell’aperitivo ma è emerso dalla relazione intermedia presentata il 21 aprile scorso dalla “Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati“.
Per la cronaca la Commissione parlamentare è un organo collegiale del Parlamento italiano, a cui vengono assegnati i disegni di legge prima che vengano discussi in sede parlamentare. Istituita dal Senato nell’ottobre 2019 è entrata in funzione nel 2021 in seguito al dramma della giovane operaia Luana D’Orazio, 22 anni, stritolata dall’orditoio a cui stava lavorando il 3 maggio 2021 in una ditta tessile a Montemurlo, in provincia di Prato.
Una tragedia che colpì molto l’opinione pubblica per la giovane età della vittima. Merita di essere messo in risalto il tempo trascorso tra l’istituzione della Commissione e la sua entrata in funzione: un anno e mezzo. Ai nostri parlamentari piace fare le cose con estrema calma. Eppure non c’era bisogno dell’ennesima tragedia per mettersi di buona lena a lavorare per trovare soluzioni efficaci!
Non è solo questione di interventi legislativi e di controlli all’uopo, di cui pur sentiamo la mancanza, ma di una mentalità diffusa in cui i costi per la sicurezza e la relativa organizzazione del lavoro sono visti come uno “spreco“. Invece, come ha fatto notare la Commissione, “…I costi sulla sicurezza andrebbero inquadrati come investimenti in prevenzione…”.
Come succede in altri Paesi europei dove il guadagno di ogni euro investito per migliorare le condizioni dei lavoratori è pari al doppio di quanto speso. Sarebbe necessario l’introduzione di un “indicatore” per valutarlo. In effetti se pensiamo a tutti gli effetti che produce un infortunio sul lavoro, non si può non valutare l’aspetto meramente economico.
Si parte dai costi per la sospensione del lavoro, alla sostituzione della vittima con conseguenti costi di formazione sommati a quelli di primo intervento. Inoltre vanno valutati anche i danni d’immagine, che nella società del web sono diventati importanti e, a volte decisivi.
Uno dei settori maggiormente colpiti è quello della logistica. Ad esempio le attività di trasporto e facchinaggio sono state esternalizzate da decenni ormai, con l’obiettivo di risparmiare sul costo del lavoro, compresa la sicurezza. In questo contesto di effettiva deregulation (deregolamentazione), sono nate molte cosiddette “cooperative spurie“. Si tratta di società di comodo che nascono e muoiono in funzione del singolo appalto, utilizzate per scaricare costi e debiti, nascondere raggiri e che spesso falliscono dall’oggi al domani senza lasciare tracce.
Ed è qui che si sviluppa l’humus in cui cresce la componente più fragile del mondo del lavoro: il lavoratore sfruttato e senza sicurezza. Secondo la Commissione è necessario l’inasprimento delle pene per chi mette in piedi false coop o società fasulle, oltre ad equiparare stipendi di lavoratori in appalto e diretti. Perché non si muore solo per un incidente o infortunio, ma anche per la pessima organizzazione.
Sicurezza e sfruttamento sono due facce della stessa medaglia: se migliora una peggiora l’altra. Nel XXI secolo, in una società che si definisce “civile”, non si può morire di lavoro! Proprio no.