ROMA – RITRATTANO IN AULA: LE TRAGEDIE ANNUNCIATE DELLE DONNE CHE SI PIEGANO AL MOSTRO

Paura, intimidazioni e rimorsi in uno con la giustificazione delle violenze subite dal compagno aguzzino causano, sempre più di frequente, femminicidi annunciati. Occorre maggiore sostegno ai soggetti più deboli.

Roma – Una ritrattazione shock in aula: “mi sono inventata tutto”. È successo qualche giorno fa, durante un processo. Una donna da anni vittima di maltrattamenti da parte del marito, accusato per altro di aver ceduto droga al figlio di 16 anni, poi finito in coma per overdose, si è rimangiata tutte le accuse.

La donna non aveva mai trovato il coraggio di denunciare il coniuge manesco e prepotente. Le segnalazioni sono arrivate in Procura per vie traverse: la telefonata anonima di un vicino che la sentiva gridare, la denuncia di un collega che la vedeva arrivare sul posto di lavoro piena di lividi.

Più volte si era dovuta recare al pronto soccorso ma ogni volta aveva una scusa come una caduta dalle scale o dal tram, aveva persino chiesto aiuto a un centro antiviolenza ma nel momento in cui la polizia giudiziaria l’aveva sentita non ce l’aveva mai fatta ad accusare quel marito padrone e violento.

Solo l’ultima volta, quando il marito aveva dato al figlio una pallina di eroina per drogarsi insieme, vedendo poi il sedicenne lottare per mesi tra la vita e la morte, aveva finalmente trovato il coraggio di dire la verità.

Dopo aver raccontato i fatti per filo e per segno la povera donna, sopraffatta dal rimorso, è ripiombata in quel maledetto vortice di dipendenza affettiva e paura tipica di chi subisce da anni violenza domestica. Abusi su abusi che le hanno provocato danni fisici e psicologici di rilevante entità.

Da qui la decisione di ritrattare, di compiacere il partner violento, di difenderlo ancora una volta anche a costo di screditarsi e rischiare in prima persona anche una bella denuncia. Quella donna, però, non è l’unica che si è tirata indietro. Sono in tante, forse troppe quelle che ritrattano e smentiscono sé stesse.

Ma non solo: ci sono quelle che si addossano tutte le colpe, confessano tradimenti inesistenti, cancellano anni di maltrattamenti, violenze, soprusi, angherie, percosse e umiliazioni di ogni genere. Tutte pronte a fare marcia indietro al primo complimento del compagno-aguzzino, anche a costo di rischiare un processo per calunnia o falsa testimonianza, per poi riprecipitare nell’incubo peggio di prima.

Se è già difficile comprendere come una donna possa subire per anni sopraffazioni dall’uomo che le ha giurato eterno amore, risulta ancora più difficile capire come, dopo essersene liberate per tornare finalmente a vivere, possano nuovamente annullarsi ricadere in quella spirale di esistenza malata dalla quale avevano cercato di affrancarsi.

Numerose vittime di femminicidio erano donne che avevano ritrattato. Come la moglie di Jennati Abdelfettah, magazziniere originario del Marocco residente nel Padovano. La moglie qualche anno prima lo aveva denunciato, salvo poi smentire tutto per paura. Ma le violenze all’interno delle mura domestiche non erano mai finite. Lo scorso novembre il tragico epilogo.

Jennati Abdelfettah ha ucciso la moglie Aisha El Abiou di 30 anni

L’uomo ha ucciso la moglie colpendola con un coltello da cucina. L’assassino, una volta chiamato il 112, aveva detto ai carabinieri di averla ammazzata per gelosia, quasi fosse una giustificazione. Dietro questa storia, come per centinaia di altre, c’è il fallimento dello Stato che non riesce a proteggere le donne maltrattate anche quando denunciano.

Perché non sempre viene previsto l’allontanamento del compagno violento affinché la donna possa riflettere in maniera lucida sentendosi protetta. Nel rispetto delle norme che regolano il cosiddetto “Codice Rosso“.

Contro la violenza sulle donne si fa ancora troppo poco

Troppo spesso, invece, le donne si ritrovano a condividere il tetto coniugale con un mostro. Un padre-padrone a cui non possono sfuggire, a cui tutto è permesso. Paura e intimidazioni fanno il resto. Fuori la società non aiuta mentre le istituzioni, quando procedono, lo fanno a rilento. Quando ci scappa il morto, foto e strillo in copertina. Poi torna il silenzio, assordante.  

 

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