Quelle di Cossiga, secondo l'ex brigatista Paolo Persichetti, "furono le lettere di uno che aveva vinto la battaglia contro la lotta armata ma aveva perso la guerra contro l’emergenza, da lui stesso generata". Poi la vicenda di Gladio, rimasta nebulosa sino ai giorni nostri.
Roma – La storia della Repubblica italiana è fatta di tanti momenti importanti: di emergenze, cultura, successi e tentate rivoluzioni. Una storia anche di mafie e brigate rosse. Non solo però eventi tragici o violenti ma anche di ricostruzione di un Bel Paese bombardato e distrutto dalla guerra, che ha saputo risollevarsi ed emergere nel contesto mondiale. Un’economia in salita che ha comportato benessere e riacceso sogni e speranze, consentendo la realizzazione di tanti desideri. Sono stati altrettanto numerosi i politici che avendo una visione chiara del proprio Paese, si sono dedicati a concepire e realizzare le riforme, ognuno nella propria identità valoriale. Anche sbagliando ma sempre in buona fede e con spirito di servizio. Da alcune lettere inedite di Cossiga si può risalire e comprendere alcuni eventi che hanno segnato la vita della nostra nazione.
Un anno dopo il fallito tentativo di concedere la grazia, nell’estate 1991, a Renato Curcio l’ormai ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga lo incontrò nella casa circondariale di Rebibbia. Il colloquio, con uno dei fondatori delle brigate rosse, avvenne senza testimoni il 25 novembre 1992, quando Cossiga aveva lasciato il Quirinale da sei mesi presentando le dimissioni. Parlarono di molte cose, “dal caso Moro, alla vicenda della grazia abortita sino al carattere sociale e politico del fenomeno armato“, che l’ex capo dello Stato non definiva terrorismo bensì “sovversivismo di sinistra“. Un modo come un altro ma fortemente indicativo per differenziare le rivolte della destra.
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Cossiga spiegò che nelle sue intenzioni quell’atto di clemenza unilaterale doveva essere un primo passo per superare le leggi di emergenza a cui lui stesso aveva contributo, prima da ministro dell’Interno e poi da Presidente del Consiglio (4 agosto 1979 – 18 ottobre 1980), quando le Br avevano lanciato il loro “attacco al cuore dello Stato“ e posto in essere la cosiddetta “strategia della tensione“. I vertici delle forze di sicurezza erano d’accordo ma i parenti delle vittime no, al pari di alcune forze politiche; in primo luogo l’ex Pci divenuto Partito democratico della sinistra.
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“Cossiga graziando Curcio con motivazioni dichiaratamente politiche voleva aprire la stagione dell’amnistia e chiudere con l’emergenza giudiziaria“. Lo scrive l’ex Br Paolo Persichetti sul suo blog Insorgenze.net, postando un recente articolo di Giovanni Bianconi che racconta la corrispondenza privata, resa pubblica dalla Camera dei Deputati, che l’ex Presidente Francesco Cossiga ebbe modo di scambiare con alcuni esponenti delle Brigate rosse dal 1991 fino al 2002. “Chi ricorda l’estate del 1991, sa bene che furono proposti decreti di grazia promossi direttamente dalla Presidenza della Repubblica e rifiutati dall’allora Guardasigilli Claudio Martelli, che avrebbe, per legge, dovuto controfirmare. La questione scatenò un conflitto politico e di natura costituzionale“, aggiunge Persichetti sul blog, secondo il quale a spingere Cossiga sarebbe stata la convinzione che l’emergenza giudiziaria “avrebbe creato un vulnus nella tradizione giuridica, inasprendo il codice Rocco, rispetto alla versione originale d’epoca fascista. Infatti le brigate rosse, almeno i pentiti e dissociati a parità di reati, si avvalevano di trattamenti di favore rispetto a chi aveva rifiutato di collaborare con l’A.G.“.
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Non solo: “Cossiga – aggiunge Persichetti – aveva capito che la delega fornita alla magistratura favoriva il suo ingresso negli affari politici, iniziando a destabilizzare l’equilibrio tra poteri previsto dalla costituzione liberale ed era cosciente di aver innescato lui stesso una profonda ferita nella tradizione giuridica italiana“. Inoltre Cossiga “intravedeva all’orizzonte quel che poteva accadere di lì a poco e che poi, infatti, accadde, ciò la fine della Prima repubblica e l’avvento del protagonismo politico delle procure che deflagrò con le inchieste di “Mani pulite“. Punti di vista. Comunque i contrasti c’erano ed erano anche molto accesi. In gioco vi era un rimescolamento dei poteri costituzionali. Anzi una ridefinizione, sostanziale, delle funzioni statali. Peraltro la magistratura, allora, non era considerata una funzione pubblica molto autonoma. I partiti avevano avuto un ruolo, da sempre, molto importante in ambito giudiziario.
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L’ex Br ricorda come Cossiga “mesi prima aveva avviato un duro braccio di ferro con il Consiglio superiore della magistratura sulla definizione di alcuni ordini del giorno, uno di essi riguardava la vicenda “Gladio“, fino al ritiro della delega al vicepresidente Giovanni Galloni (Dc)”. Così “nel novembre successivo inviò la forza pubblica nell’aula del Csm, giustificando la presenza in aula dei carabinieri con i poteri, di polizia, a lui attribuiti dalla legge. Da quello scontro venne fuori la stagione delle “esternazioni”, del Presidente della Repubblica, definito il “picconatore“.
Quelle di Cossiga, secondo Persichetti, “furono le lettere di uno che aveva vinto la battaglia contro la lotta armata ma aveva perso la guerra contro l’emergenza, da lui stesso creata“. Una storia italiana che in ogni caso ha visto lo Stato sconfiggere le Br. Certamente una più scrupolosa rivisitazione degli avvenimenti passati sarebbe opportuna, al fine di evitare speculazioni o chiavi di lettura ardite ed approssimative. Soprattutto di coloro che intendevano sovvertire l’ordine costituito. O che, per lo meno, ci hanno provato.
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