Il binomio “riforma” e “giustizia” rappresenta un evergreen della politica italiana, probabilmente perché non è mai stato fatto nulla di concreto. Quest’anno abbiamo deciso di riprovarci, dice il Cavaliere, mi consentano…
Roma – Silvio Berlusconi quotidianamente sgancia, in pillole, frammenti del programma politico di Forza Italia per alzare l’asticella oltre i suoi alleati. In particolare intende marcare le differenze verso una sinistra dalla quale intende distinguersi in ogni modo. Così, dopo il presidenzialismo ed il poliziotto di quartiere, il leader di Forza Italia inserisce nei suoi messaggi elettorali argomenti ancora una volta divisivi. Ultimo quello sulla giustizia, per rilanciare l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione da parte dei Pm e non solo.
Insomma la proposta che riaccende l’antico scontro sulla giustizia, consiste nel vietare il ricorso dell’accusa in caso di proscioglimento dell’imputato. Ma dall’Anm arriva subito l’altolà, mentre ha trovato il favore dei penalisti. La questione non è nuova nel panorama delle riforme, infatti l’affrontò il legislatore già nel 2006 con la legge Pecorella, ma la Corte costituzionale l’ha “bollata” come illegittima in quanto lesiva, anzitutto, del principio di uguaglianza, sancito dall’art. 3 della Costituzione. Nella motivazione della Consulta, infatti, veniva rilevato come non si poteva consentire all’imputato di proporre appello nei confronti delle sentenze di condanna senza concedere al pubblico ministero lo speculare potere di appellare le sentenze di assoluzione.
L’incostituzionalità è stata oggetto di tante polemiche che continuano anche oggi ma, in ogni caso, non si potrà certamente prescindere, nel caso si volesse andare avanti con la proposta di Berlusconi, di tutte le indicazioni espresse dalla Consulta. Nel frattempo anche FdI accende i fari sulla giustizia ed in particolare sulla riforma della prescrizione andata a schiantarsi sui binari dell’improcedibilità. Fin da quando si è ipotizzato di passare dalla prescrizione di Bonafede all’improcedibilità, FdI ha sempre sostenuto che il nuovo istituto avrebbe allungato i tempi dei processi.
Il motivo, secondo gli esponenti meloniani, è semplice. Nel momento in cui il giudice di primo grado ha a disposizione tutto il tempo consentito prima che il reato si estingua, tende a utilizzarlo per intero. Prima invece, con la prescrizione, lo stesso giudice sapeva bene che se non avesse lasciato un margine sufficiente per i successivi gradi di giudizio, il reato sarebbe inevitabilmente decaduto, dunque cercava di affrettarsi.
In definitiva mentre FI indica altre priorità, come la separazione delle carriere ed il divieto di impugnare le assoluzioni. La Lega ad ora non fa cenno alla riforma della prescrizione nel programma. In base all’esito dei risultati elettorali i dossier potrebbero tutti riaprirsi.
Certamente il Pd, che ha le sue responsabilità, non può fare il coinvitato di pietra. In origine, proprio i dem, “titolari” della riforma Orlando, avevano proposto di imporre un limite di scadenza alle fasi dei processi anziché ai reati. Ipotesi avanzata per mediare con gli allora alleati grillini, irremovibili nella difesa del loro “blocca-prescrizione”. Poi la commissione Lattanzi aveva sostenuto che era meglio tornare alla legge Orlando, con un lieve riequilibrio, prevedendo un tempo limite alle fasi del processo. In Parlamento sappiamo tutti com’è finita.
Si decise per l’improcedibilità solo in appello e in Cassazione, ma con un doppio binario che esclude o regola in modo più severo i processi per i reati ad alto “allarme sociale”. In questo nuovo contesto politico “non c’è più motivo di tenersi l’improcedibilità”. Così si mette sul tavolo un’idea molto semplice. Tornare alla prescrizione dell’ex ministro della giustizia Orlando, che prevedeva uno stop al cronometro di tre anni in tutto, fra secondo e terzo grado di giudizio. Vedremo come andrà a finire.