I Savoia rivogliono il loro patrimonio in pietre preziose, oro e perle ma il Banco d’Italia non aprirà i forzieri nemmeno con la dinamite. E più di qualcuno ricorda che Roma fu lasciata nelle mani dei tedeschi mentre il Re fuggiva in Puglia con i suoi plenipotenziari. Il tesoro deve rimanere dove sta ma potrebbe anche devolversi alle famiglie italiane più indigenti, che sono numerosissime. Che ne dicono i rampolli di Casa Reale? Sarebbero d’accordo?
Roma – Nel gennaio scorso una notizia appena accennata e poco commentata è passata come uno spiffero avvertito da pochi. Gli eredi di Casa Savoia, la famiglia reale italiana che ha regnato fino alla II Guerra Mondiale, vorrebbero che ritornassero nelle loro mani i gioielli appartenenti alla Corona, custoditi nel caveau della Banca d’Italia, che aveva espresso anni fa parere sfavorevole sull’esborso dell’ingente tesoro.
Pare che i legali rappresentanti della Casa Reale si siano incontrati, quatti quatti, con quelli della Banca d’Italia per dirimere la questione. I reali hanno manifestato l’intenzione, qualora non rientrassero in possesso dei gioielli della Corona, di fare causa allo Stato italiano pur di riaverli.
Sulla vicenda, com’è ovvio che sia, traspare poco. Si sussurra che al vertice sarebbero stati presenti anche i rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
La vicenda all’apparenza semplice, in realtà è più complessa di quanto si pensi. Il rischio è che si possa avviare una battaglia legale, che si sa quando comincia ma non quando giunge al termine. Il tesoro dei Savoia è custodito nel caveau della Banca d’Italia dal 1946, quando Umberto II – ultimo Re d’Italia – lo fece consegnare all’allora Governatore Luigi Einaudi, poi futuro Presidente della Repubblica.
Nel verbale di consegna era stato scritto che le ricchezze andavano custodite “per essere messe a disposizione di chi di diritto“. Per la cronaca, sono gli unici beni non confiscati ai Savoia con apposita legge, dopo la cacciata del Re dall’Italia. Infatti non sono presenti in nessun verbale redatto dopo la confisca di tutti i beni immobili e mobili della famiglia.
Con la proclamazione della Repubblica, come si sa, al Re e ai suoi eredi fu fatto divieto di mettere piede sul suolo patrio. Umberto II infatti morì in esilio nel 1983. Mentre con la Legge Costituzionale 1/2002 promulgata dal Presidente della Repubblica, è stata abrogata la XII disposizione transitoria e finale, eliminando il divieto, per i membri ed i discendenti dei reali, di entrare nel territorio nazionale.
Da quando hanno potuto “ricircolare liberamente sul suolo patrio“, i rampolli dei Savoia hanno messo in atto vari tentativi di ritornare in possesso dei loro gioielli appartenuti alla Monarchia italiana.
La Banca d’Italia ha già reso noto il proprio parere negativo sulla vicenda. Nel novembre scorso una nota dell’Istituto ha stabilito il diniego assoluto: “…La restituzione non può essere accolta, tenuto conto delle responsabilità del depositario…”.
Il valore dei gioielli regali ammonterebbe a circa 300 milioni di euro ed è costituito da 6.732 diamanti e 2 mila perle, incastonati su orecchini, diademi, collane e spille varie. Però, pare che sia solo una stima aleatoria, in quanto una valutazione ufficiale non è stata mai fatta.
Per la storia la linea di successione al Trono d’Italia è così composta:
- Emanuele Filiberto di Savoia (1972), principe di Piemonte.
- Amedeo di Savoia-Aosta (1943), quinto duca d’Aosta.
- Aimone di Savoia-Aosta (1967), duca delle Puglie.
- Umberto di Savoia-Aosta (2009), principe del sangue.
- Amedeo di Savoia-Aosta (2011), principe del sangue.
Il problema non è se gli eredi di Casa Savoia abbiano o meno diritto a riavere il tesoro appartenuto al loro casato. Per l’uomo comune, alle prese con la dura sopravvivenza quotidiana, sembra una faccenda di lana caprina. Anche se la cifra è ancora approssimativa, 300 milioni non sono noccioline. Si potrebbero fare molte cose a vantaggio degli indigenti.
Sacrosanta l’abrogazione della disposizione transitoria che vietava l’accesso in Italia dei discendenti dei reali. Anche perché trascorso un certo tempo, “le colpe dei padri non debbono ricadere sui figli”, come recita un motto popolare.
Non dimentichiamo, però, che cosa hanno fatto i Savoia per l’Italia: il solo avere agevolato la nascita di un regime dittatoriale, come quello del fascismo, non è responsabilità da poco. Che gli eredi al trono, dunque, si diano una calmata. Compiano un gesto di generosità e se dicono di amare la Patria, come hanno spesso sbandierato ai quattro venti, che devolvano il loro tesoro, legittimo o no, in beneficenza!