In un'anonima trattoria della bassa emiliana si erano dati appuntamento, mezzo secolo fa, i protagonisti degli anni di piombo. Gli ignari gestori ne tracciano un profilo innocente, fra tigelle e mortadella, assai diverso dagli assassini di Aldo Moro.
Reggio Emilia – E’ il 17 agosto del 1970. Metti una serata tra amici al ristorante ”Da Gianni” a Paullo, località Costaferrata, frazione di Casina, sull’Appennino reggiano. Vengono sfornate, una dopo l’altra, succulente specialità tipiche della tradizione emiliana: tortelli, lasagne, cannelloni, cappelletti e coniglio innaffiate da fiumi e fiumi di immancabile Lambrusco. E tutto si tinge di rosso, di sangue. Perché i commensali non sono proprio i classici bravi ragazzi ma coloro che hanno dato vita alle Brigate rosse e agli indelebili ”anni di piombo”.
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E come ogni rimpatriata che si rispetti, ce n’è stata una nel 2016, forse l’ultima: una cinquantina di persone, tra cui i reggiani Roberto Ognibene, Loris Tonino Paroli, Lauro Azzolini, ma anche Raffaele Fiore, Nadia Mantovani, Giuseppe Battaglia, Antonio Savino, Bianca Amelia Sivieri, Piero Bertolazzi e i ragazzi della cooperativa bolognese ”Verso casa”, gestita dalla Mantovani, che hanno intonato ”L’internazionale” con tanto di pugno chiuso levato verso il cielo.
La proprietaria del locale, Anna Argentina Valcavi, oggi di 80 anni, ha assistito, insieme al defunto marito Gianni Incerti, alla nascita del gruppo terroristico più famoso d’Italia senza sospettare nulla. Senza immaginare nemmeno lontanamente che cosa si nascondesse dentro il cervello di quell’allegra brigata, è il caso di dirlo:
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“…Siamo parenti di Tonino Paroli: crediamo sia stata sua l’idea di portare qui i ragazzi – racconta Anna Argentina – non sospettavamo nulla di che cosa stessero progettando: con noi si sono sempre comportati bene. Poi la gente diceva che si ammucchiavano nei campi e parlavano tra loro… Qualche tempo dopo vennero da noi gli agenti della questura e ci chiesero il libro degli alloggiati. Allora capimmo che c’era qualcosa di strano. E ricordo che mio marito mi raccontò che Mara Cagol si offrì di compilarlo per aiutarlo. Fu così che sul registro comparvero forse nomi falsi...”.
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Quella Margherita Cagol, con il nome di battaglia ”Mara”, morta a soli 30 anni durante uno scontro a fuoco con i carabinieri nella cascina Spiotta d’Arzello, esponente di spicco e moglie di Renato Curcio, uno dei fondatori delle BR. Secondo l’inchiesta ”La notte della Repubblica” di Sergio Zavoli, le vittime dell’organizzazione eversiva sono state 84, dal 1974 al 2003. Gli omicidi rivendicati 86, nella maggioranza dei casi agenti della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri, magistrati, uomini politici e dirigenti d’industria, oltre ai sequestri di persona, ai ferimenti e alle rapine.
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Anche il simbolo dell’organizzazione è nato qui, lo testimonia la stella a cinque punte trovata su un vecchio tavolo con le assi in legno costruito a mano dallo stesso Gianni che, però, lo avrebbe buttato chissà dove. Tracce e solchi profondi su legno di un terrorismo che ha sfregiato l’Italia ma che, nonostante tutto, incuriosisce ancora, quasi come se il ristorante fosse un museo e un richiamo ancestrale per gli ex terroristi rossi. Non è un caso se ci sono tornati Prospero Gallinari – scomparso nel 2013 – e lo stesso Curcio, prima della presentazione di un suo libro. Il vecchio amore non si scorda mai.