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Quando si dice la mafia nell’antimafia

Con l’arresto di Matteo Messina Denaro è tornata alla ribalta la tristissima vicenda della gestione allegra della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo all’epoca di Silvana Saguto. In pratica non c’era alcuna differenza con chi stringe accordi con la criminalità. Vantaggi per sè, per i propri familiari, e per una lunga sequela di sodali. Che brutta storia.

Palermo – Parenti, amici e conoscenti. Questi sarebbero stati i beneficiari del “sistema Saguto”. Una sorta di consorteria che si sarebbe avvantaggiata di un “accordo corruttivo”, fra l’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, e l’ex amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara. Questo il sunto delle motivazioni contenute nelle 1.214 pagine redatte dalla Corte d’appello di Caltanissetta che il 20 luglio dell’anno scorso ha condannato la ex toga siciliana a 8 anni, 10 mesi e quindici giorni (2 mesi e 15 giorni in più rispetto al primo grado di giudizio) per un “uso distorto” del suo potere “spinta da uno spasmodico desiderio di assicurare un tenore di vita elevato a lei e alla sua famiglia”.

Gaetano Cappellano Seminara

A parlare di “accordo corruttivo” è proprio il presidente della Corte, Marco Sabella, a seguito della sentenza che ha recepito quasi del tutto le accuse mosse alla magistrata radiata: Saguto avrebbe gestito in modo clientelare e illegale i beni sequestrati e confiscati alla mafia gestendo illecitamente le nomine degli amministratori giudiziari, scegliendo solo professionisti a lei fedelissimi. In cambio avrebbe ricevuto favori e regalie. Come dire mafia nell’antimafia, punto e a capo.

Solo l’associazione per delinquere sarebbe caduta come accusa mentre quelle di corruzione, abuso d’ufficio e concussione sono rimaste in piedi. Secondo i Pm nisseni l’ex giudice avrebbe intascato anche una somma pari a 20 mila euro, consegnata dall’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, condannato, a 7 anni e sette mesi. Il collegio giudicante ha fatto il proprio lavoro non certo a cuore leggero:

Questo non è un processo all’antimafia o a una certa antimafia – aveva detto Lia Sava, già procuratore generale di Caltanissetta, durante la requisitoria – abbiamo solo fotografato alcune condotte illecite. E vi assicuro che è stato un processo doloroso, molto doloroso anche per noi, non solo per gli imputati. Un dolore lancinante, un coltello senza manico. Ci siamo feriti anche noi”.

Le indagini della Guardia di Finanza

Insomma quanto accaduto a Palermo con Silvana Saguto non ha messo certo a rischio l’importanza strategica nella lotta alla mafia dell’Ufficio misure di prevenzione ma è ovvio che una botta del genere ha influito negativamente soprattutto fra i cittadini per bene e nelle istituzioni che giornalmente si battono contro la criminalità organizzata e il malaffare nella pubblica amministrazione.

Il punto cruciale del processo è rappresentato dalla storiaccia della tesi di laurea del figlio della Saguto, Emanuele Caramma, pare interamente redatta dal professore Carmelo Provenzano, docente dell’università Kore di Enna. La Saguto, si legge in atti, sapeva che la tesi di laurea sarebbe stata scritta da Provenzano. Anche se il docente aveva detto in aula di non aver mai scritto detta tesi:

”Nella mia professione di docente – asseriva Provenzano –  ho seguito figli di magistrati esponenti di forze dell’ordine, deputati, ma anche figli di operai o persone provenienti da famiglie di umili origini, e non ho mai fatto alcuna differenza…Non ho mai abusato nel mio ruolo di pubblico ufficiale”.

Carmelo Provenzano

Ma anche per lui i giudici hanno deciso una condanna a 6 anni e 10 di reclusione. Insomma per gli amici degli amici della Saguto, marito compreso, non c’erano problemi per ottenere ciò che desideravano. Poi lo scandalo, reso pubblico da alcune tv che avevano parlato di mala-gestione dei beni sequestrati. E che dire dell’assunzione di Mariangela Pantò, fidanzata del figlio della Saguto? Detta assunzione presso uno studio legale non sarebbe avvenuta, dicono sempre i giudici, con volontarietà e men che meno per merito o cortesia ma per motivi di “mero tornaconto e seguito di una vera e propria imposizione da parte della Saguto che ne aveva fatto richiesta dietro promessa del conferimento di incarichi di amministrazione futuri”.

Chi non ricorda poi l’inchiesta di Pino Maniaci, di Telejato, proprio sulla ex magistrata poi radiata e sulla sua allegra amministrazione dei beni mafiosi?:

Pino Maniaci Foto LaPresse

” Pago le mie denunce contro Silvana Sagutoaveva detto il giornalista – e la sua gestione della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Basta leggere le intercettazioni per capirlo: era lei a sollecitare che si indagasse su di me”.

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