Ponte Morandi disgrazia annunciata

In spregio alle norme di sicurezza grandi tratti del viadotto non erano mai stati controllati in anni e anni di esercizio. Poteva anche andare peggio poiché sarebbero potuti crollare altri tratti del vecchio Polcevera

Genova – Si avvicina il momento della verità. La Procura ha chiuso le indagini sul crollo del ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto del 2018 quando il viadotto autostradale della A10 è collassato, causando la morte di 43 persone.

La Guardia di Finanza ha già notificato gli avvisi di chiusura delle investigazioni agli indagati. Quasi tre anni d’inchiesta e due incidenti probatori, uno eseguito sullo stato di salute del viadotto e un secondo sulle cause del crollo.

Tra ex vertici e tecnici delle aziende e dirigenti tecnici del ministero delle Infrastrutture e del Provveditorato, i Pm Massimo Terrile e Walter Cotugno, con l’aggiunto Paolo D’Ovidio, hanno indagato un totale di 71 persone e le due società Aspi e Spea, che si occupavano delle manutenzioni.

I magistrati inquirenti scrivono che in 51 anni, ossia dall’inaugurazione del ponte nel 1967 al crollo, non è “mai stato eseguito il benché minimo intervento manutentivo di rinforzo sugli stralli della pila 9”. Inoltre “nei 36 anni e 8 mesi intercorsi tra il 1982 e il crollo, gli interventi di natura strutturale eseguiti sull’intero viadotto Polcevera avevano avuto un costo complessivo di 24.578.604 euro”.

Di questi il 98,01% sono stati spesi dal concessionario pubblico e l’1,99% dal concessionario privato.

La spesa media annua del concessionario pubblico era stata di 1.338.359 euro (3.665 euro al giorno), quella del concessionario privato di 26.149 euro (71 euro al giorno).

Dopo il crollo del ponte Morandi sono state effettuate altre indagini che hanno chiarito il modus operandi del management basato, secondo l’accusa, sul massimo risparmio per quanto riguarda le manutenzioni, allo scopo di assicurare maggiori dividendi ai soci. Ovvero profitti a tutti i costi.

Paolo Berti

Nelle diverse indagini sono coinvolti Giovanni Castellucci, ex amministratore delegato di Aspi, Paolo Berti, ex direttore operazioni di Autostrade per l’Italia, e Michele Donferri Mitelli, responsabile nazionale delle manutenzioni di Autostrade per l’Italia.

Autostrade Spa era al corrente dal 1990 che nella pila 9, crollata il 14 agosto 2018, vi erano “due trefoli lenti e due cavi scoperti su quattro”, si legge dall’avviso di conclusione delle indagini, notificate dagli investigatori del primo gruppo della Guardia di Finanza ai presunti responsabili del disastro.

Le accuse sono di attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo, omicidio colposo, omicidio stradale e rimozione dolosa di dispositivi per la sicurezza dei posti di lavoro. Nel provvedimento giudiziario la pubblica accusa chiarisce quanto rilevato tecnicamente dai Ctu:

Michele Donzelli Militelli

“…Le indagini diagnostiche degli anni 1990 (19-29 novembre) e 1991 (12-13 giugno) sugli stralli della pila 9, pur eseguiti in modi parziali e inadeguati, avevano individuato, sull’unico strallo a mare lato Savona esaminato, 2 trefoli ‘lenti’ e del tutto privi di iniezione e, sull’unico strallo lato Genova lato monte esaminato, 2 cavi scoperti su 4, privi di guaina perché completamente ossidata, privi di iniezione perché asportata dal degrado originato dalle infiltrazioni dell’acqua meteorica e, soprattutto, alcuni trefoli rotti, con pochi fili per trefolo ancora tesati...”.

La pila 9 venne controllata, dal 1991 al giorno del crollo del ponte, solo nell’ottobre 2015.

Tali controlli erano stati fatti “…Sui soli stralli lato mare e soltanto in orario notturno – scrivono i magistrati – la conseguente relazione evidenziava chiarissimi segnali d’allarme sulle condizioni degli stralli, accertando che tutti i trefoli che era stato possibile esaminare tramite i carotaggi risultavano scarsamente testati e si muovevano con facilità facendo leva con uno scalpello…”.

Il Procuratore Francesco Cozzi

Dalle indagini emerge dunque che Spea avrebbe svolto le attività di ispezione e sorveglianza con modalità assolutamente non conformi alle normative vigenti. Anzi sembrerebbe ancora peggio: in spregio alle più elementari norme di sicurezza.

“…E’ stato un lavoro straordinario – ha detto il procuratore di Genova Francesco Cozzi questo è un passaggio importante ma è il punto di vista della procura, dello Stato. Ora si apre una fase in cui le difese spiegheranno le proprie ragioni… Come servitore dello Stato sono onorato di avere coordinato questa indagine. Lo dovevamo alle vittime e per tutelare interessi pubblici e privati...”.

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