Su De Mauro indagheranno il capitano dei carabinieri Giuseppe Russo con l’allora colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa e il commissario Boris Giuliano. Tutti e tre gli investigatori cadranno vittime della mafia.
Palermo – La morte del giornalista Mauro De Mauro rappresenta uno dei misteri più lunghi della cronaca nera siciliana. Il 16 settembre 1970 il cronista dell’Ora di Palermo veniva sequestrato e ucciso da un commando mafioso. Il suo corpo non è mai stato ritrovato. A mezzo secolo di distanza dalla sua scomparsa rimangono ignoti movente, mandanti ed esecutori.
De Mauro era nato a Foggia nel 1921. Deciso assertore del regime fascista aveva militato nella Decima Mas di Junio Valerio Borghese. Dopo l’8 settembre 1943 aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana. Durante il regime era stato nominato vice questore di pubblica sicurezza e quasi sul finire del conflitto era stato arrestato dai partigiani e poi internato nel campo di concentramento di Coltano, vicino Pisa, da dove riusciva a fuggire.
Con l’avvento della repubblica De Mauro era stato accusato di crimini di guerra e condannato in primo grado. La Cassazione lo aveva poi assolto con formula piena. Sposato con due figlie, il cronista si era trasferito a Palermo. De Mauro iniziò a lavorare per Il Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e l’Ora, occupandosi nel 1962 della morte di Enrico Mattei mentre 8 anni dopo aveva riaperto il caso grazie al regista Francesco Rosi che gli aveva chiesto di scrivere la sceneggiatura del suo film sul presidente dell’Eni morto in circostanze misteriose.
De Mauro, sempre nel 1962, si era occupato fattivamente di mafia pubblicando sull’Ora un dossier di un medico affiliato a cosa nostra, tale Melchiorre Allegra, rivelando la struttura del vertici mafiosi e tutto quanto riguardava l’organizzazione criminale. La mafia lo aveva dunque condannato a morte ma non erano solo i boss ad avercela con lui. De Mauro, la sera del rapimento, aveva appena parcheggiato la sua Bmw davanti al portone di casa, in viale delle Magnolie.
I sicari lo stavano aspettando e con un’azione fulminea lo avrebbero rapito e trasportato con la sua auto in un luogo sicuro dove sarebbe stato ucciso poche ore più tardi. Da quel momento di De Mauro scompariva ogni traccia. La sua auto veniva ritrovata in via Pietro D’Asaro, a circa 2,3 km da casa. Secondo alcuni collaboratori di giustizia i resti del giornalista erano rimasti sepolti per diversi anni sotto un ponte del fiume Oreto e poi rimossi e bruciati:
“….De Mauro era un cadavere che camminava – aveva detto Tommaso Buscetta ai giudici Falcone e Borsellino 15 anni dopo la morte del giornalista – cosa nostra era stata costretta a perdonare il giornalista perché la sua morte avrebbe destato troppi sospetti, ma alla prima occasione utile avrebbe pagato anche per lo scoop di Allegra. La sentenza di morte era solo stata temporaneamente sospesa…”.
Le indagini erano state affidate ai carabinieri che ritenevano plausibile l’eliminazione di De Mauro da parte della mafia perché il giornalista aveva scoperchiato i segreti del traffico di droga. La polizia invece era convinta che De Mauro fosse stato ucciso per via del caso Mattei la cui morte, scriveva Di Mauro, non era stata un incidente ma un omicidio bello e buono. Su De Mauro indagheranno il capitano Giuseppe Russo, responsabile dell’ufficio investigativo e l’allora colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa mentre per la polizia aveva smosso le acque il commissario Boris Giuliano. Tutti e tre gli investigatori cadranno vittime della mafia e di De Mauro non si saprà più nulla:
”…I pentiti anni dopo diranno che nel commando facevano parte nientemeno che Totò Riina e Bernardo Provenzano – dice Sebastiano Ardita, magistrato, componente Csm – ma i processi non daranno mai un volto al colpevole. Sicuro De Mauro era un giornalista scomodo, uno che scavava e conosceva molti segreti. È certo che aveva notizie di prima mano sui preparativi del tentato golpe Borghese e che aveva lavorato sulla misteriosa morte del manager dell’Eni Enrico Mattei, avvenuta per “incidente” su un aereo privato partito da Catania. Chi tocca i fili dei rapporti occulti tra cosa nostra e il potere rischia sempre di morire fulminato…”.
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