Nemmeno l’ecologia si salva dall’inflazione

In un’economia globalizzata è cresciuta la dipendenza energetica nei confronti di alcuni Paesi, Russia in testa. La transizione ecologica, di cui tutti si riempono la bocca ma che nessuno mette in pratica, necessita di un progetto finanziario basato sull’autosufficienza energetica basata sulle risorse disponibili. Il problema della dipendenza si è accentuato con l’aumento dei costi favorito dal conflitto bellico. Il barometro volge al peggio.

Bruxelles – Gli economisti per spiegare il fenomeno hanno utilizzato un termine che sembra il nome di un farmaco: greenflation, crasi tra green e inflation, inflazione verde. Questo aspetto è legato alle fonti rinnovabili e all’aumento dei costi dei materiali essenziali per la produzione di energia pulita. Si sa che in economia, quando la domanda cresce, bisogna considerare se l’offerta può essere sostenuta. Questo è particolarmente vero per il settore delle rinnovabili, che non è in grado di soddisfare l’enorme mole di richieste.

L’andamento degli investimenti nell’energia pulita

Nella preesistente situazione stazionaria della transizione ecologica il colpo di grazia sembra essere stato l’aumento del prezzo delle materie prime. La BCE, Banca Centrale Europea, ha tenuto a precisare che non si tratta di una fenomeno passeggero. Un bel problema, quindi. Da una parte dobbiamo mettere in atto la transizione ecologica, dall’altra è probabile che si inneschi un processo inflazionistico. Il termine greenflation è stato coniato da Ruchir Sharma, noto gestore di fondi finanziari indiano ed editorialista del Financial Times, rinomato quotidiano finanziario britannico, sulle cui pagine ha scritto:

“…L’inflazione green sarebbe il risultato involontario di un paradosso economico. Più forte si spinge sulla transizione verso un’economia verde, più costoso diventa il tentativo, e meno probabilità si avranno di raggiungere l’obiettivo di limitare i peggiori effetti del riscaldamento globale…”.

Ruchir Sharma

Questo succede anche perché la guerra, oltre a portare lutti, stragi e distruzione sta anche scombussolando i mercati, finendo col far salire il costo delle materie prime come litio, nichel, rame, alluminio, necessarie per la creazione di batterie, pale eoliche e pannelli solari. Questi materiali sono rari, costosi da estrarre e si trovano solo in poche aree geografiche. Inoltre sono assenti proprio in quei Paesi che mirano alla transizione green, come l’Occidente e la Cina. A favorire la crescita dei prezzi ci si mette anche la grande richiesta. A ciò si aggiungono la scarsità produttiva delle rinnovabili nel breve periodo, la riduzione degli investimenti in combustibili fossili e la crescita del prezzo del carbone. Un cocktail che spiega l’aumento delle bollette.

L’Europa si trova in una posizione scomoda, ovvero tra l’incudine ed il martello. Da un lato ha preso atto dell’indifferibilità della transizione ecologica, dall’altro l’energia rinnovabile non è ancora in grado di soddisfare la domanda. Sembrerebbe una situazione di impasse a cui bisogna dare risposte risolutive. Gli esperti del settore ne consigliano alcune: ad esempio utilizzare in comune l’energia rinnovabile prodotta da un impianto locale, come viene fatto nelle cosiddette comunità energetiche. Gli utenti diventerebbero così consumatori e produttori di energia allo stesso tempo.

La sede della BCE a Francoforte sul Meno, in Germania

La BCE prevede che saranno le banche centrali a stabilizzare i prezzi energetici. Con il mercato oscillante a cui ci siamo abituati negli ultimi anni l’impresa appare ardua. Secondo i sostenitori di questa opzione i governi dovranno sostenere famiglie ed imprese. Per l’ennesima volta i fautori del libero mercato si augurano l’intervento dello Stato, lo stesso Stato che per loro ostacolava il libero sviluppo delle forze produttive.

Un’altra corrente di pensiero sostiene che sarebbe proprio questo il momento in cui bisogna puntare tutto sulla transizione ecologica. Solo in seguito si interverrebbe su domanda e offerta d’energia. Per attuare simili propositi c’è bisogno di investimenti pubblici, incentivi e controlli sui prezzi ma, soprattutto, di una politica europea coesa e compatta nel centrare l’obiettivo. Tuttavia lo spettacolo penoso che i suoi maggior leader stanno recitando lascia intendere che la strada è ancora irta di difficoltà. Ognuno guarda agli interessi del proprio orticello, mentre la barca sta affondando!

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