Condannati anche in secondo grado i due balordi rumeni che avrebbero potuto salvare la vittima con una telefonata al 118. Invece hanno preferito lasciarla morire dopo averla intontita con farmaci e alcol per poi abusare di lei. La famiglia della vittima si aspettava pene più pesanti.
Pescara – Confermate in Appello le condanne per la morte di Anna Carlini, 33 anni, stuprata e abbandonata nel tunnel della stazione di Pescara il 30 agosto del 2017. Al cittadino rumeno Nelu Ciuraru sono stati inflitti 11 anni e 6 mesi di reclusione per violenza sessuale e omissione di soccorso mentre per il complice Robert Cioragariu, 2 anni di reclusione limitatamente all’omissione di soccorso.
Alla lettura della sentenza emessa l’8 luglio scorso dal tribunale dell’Aquila, presieduto dal giudice Armanda Servino, una delle due sorelle della vittima, Isabella Martello, è scoppiata in un pianto dirotto:
”…Che giustizia ha avuto mia sorella? – ha detto in lacrime Isabella – che valore ha una vita? Undici anni ad un assassino? Che cosa le dovevano fare di più, che cosa?..”.
Anna Carlini era affetta da patologie psichiatriche e il 30 giugno di quattro anni fa la donna si era recata in ospedale per sottoporsi a visita. Dopo qualche ora la disabile, che portava con sé in una busta di plastica diversi farmaci psicotropi, si sarebbe diretta nella vecchia galleria della stazione ferroviaria dismessa da tempo.
L’area demaniale era diventata da anni una sorta di discarica ed un luogo degradato dove barboni, tossici e prostitute si davano appuntamento fra vecchi cartoni sporchi e giacigli di fortuna. Anna, attraversando il tunnel, sarebbe stata accostata dai due clochard rumeni che di lì a poco l’avrebbero costretta a seguirli in una zona più appartata dove la donna sarebbe stata costretta dai due uomini ad assumere i farmaci che aveva con sé.
Subito dopo i due barboni avrebbero fatto bere ad Anna, da sempre astemia, una cospicua quantità di bevande alcoliche che, in poco tempo, avrebbero intontito la donna già debilitata per l’assunzione forzata delle sue medicine.
In quel frangente Nelu Ciuraru l’avrebbe violentata approfittando del suo stato di incoscienza per poi tenerla ferma poggiando il suo ginocchio sul torace della poveretta. Dopo qualche istante Anna iniziava a soffrire di gravi problemi respiratori ma i due stranieri, pur potendo chiamare i soccorsi, preferivano abbandonare la poveretta al suo triste destino.
Di lì a poco il cuore di Anna andava in collasso e la disabile perdeva i sensi per poi spirare subito dopo. Ciuraru e Cioragariu si sarebbero dati alla fuga facendo perdere le proprie tracce mentre sul posto giungevano alcune volanti della polizia e il personale della Polfer per i primi rilievi di rito.
Le indagini, coordinate dal Pm Rosangela Di Stefano, portavano all’identificazione dapprima di uno solo dei due rumeni mentre l’altro veniva rintracciato alcuni giorni più tardi:
”…Se dall’ospedale ci avessero avvisato forse mia sorella sarebbe ancora viva – aveva detto Isabella Martello all’epoca dei fatti – Anna non era mai stata in quel tunnel dunque ce l’avranno portata a forza. L’hanno ritrovata sotto una coperta, era irriconoscibile. L’hanno violentata e uccisa, vogliamo giustizia…”.
A seguito dell’autopsia sul corpo della vittima sarebbe stato ritrovato materiale biologico riconducibile al Dna di Ciuraru, un particolare che servirà ad incastrare lo stupratore che, di fatto, avrebbe provocato la morte della disabile non chiamando il 118. Anna Carlini lascia orfani due bambini che sono stati affidati alla nonna materna:
”…Per uccidere non occorre per forza un’arma – ha detto più volte Isabella Martello – per com’è oggi la situazione, l’assassino, fra sette anni, potrebbe addirittura uscire dal carcere… Spero che lo Stato possa fare qualcosa per questi due bambini. Io e gli altri familiari invece non vogliamo nulla. Non ci interessano risarcimenti. La vita di mia sorella era tutto. A chi l’ha ammazzata dico che non accetto scuse. In una memoria difensiva, in un ultimo rigo, quell’uomo ha scritto di essere dispiaciuto… Io gli rispondo che deve solo vergognarsi…”.
I giudici del tribunale di Pescara hanno ritenuto, in primo grado, che entrambi gli imputati erano presenti insieme alla Carlini per tutto il tempo della sua lenta agonia, consapevoli della gravità delle condizioni di salute della vittima. Se avessero chiamato la polizia o il 118 le avrebbero salvato la vita.