Presidenzialismo alla francese, all’italiana, insomma argomenti che lasciano il tempo che trovano come le modifiche alla Costituzione. Il centrodestra è già stato al governo e non ha modificato di una virgola il Fisco, la Sanità, Giustizia e cosi via dicendo. Meloni, Salvini e Berlusconi possono incutere timore? Ma siamo seri.
Roma – Un’altra stategia che non paga è quella di infondere negli italiani paure e sconforto. Eppure sono diversi i partiti che usano questo bieco metodo nel tentativo di accapararsi qualche consenso in più. Un esempio per tutti quello di Roberto D’Alimonte, che in un suo articolo conferma certi pronostici che circolano sull’esito elettorale del centrodestra alle prossime politiche.
Nel pezzo il politologo si dichiara convinto che la colazione capeggiata da Meloni-Salvini-Berlusconi possa conquistare addirittura i due terzi dei seggi in Parlamento. Com’è noto questa è la soglia che rende possibile l’approvazione delle riforme costituzionali senza l’eventuale passaggio referendario.
Lo scenario non è realistico, però lo slogan serve per disseminare sul terreno elettorale un possibile sovvertimento della nostra Costituzione come l’introduzione del presidenzialismo. La democrazia è anche questo ovvero portare avanti le proprie idee di Paese. Nulla di più. D’altronde dove sta il problema se questa modifica costituzionale è trasparente e nel programma elettorale. Il centrosinistra la pensa diversamente, i cittadini ne sono al corrente e se vorranno la potranno bloccare, in caso contrario potrebbe ricorrersi ad un referendum.
Comunque, nel programma unitario di Lega, FdI e F.I. c’è anche l’elezione diretta del capo dello Stato, non senza polemiche. Soprattutto dopo le dichiarazioni di Silvio Berlusconi secondo cui, se passasse la riforma, l’attuale inquilino del Quirinale dovrebbe dimettersi. Ma cosa cambierebbe nel concreto con la riforma? È opportuno premettere che per presidenzialismo si intende una forma di governo in cui il potere esecutivo si concentra nelle mani del presidente, che quindi è allo stesso tempo capo dell’esecutivo e capo dello Stato. La Francia, ad esempio, è una Repubblica presidenziale: Emmanuel Macron è stato eletto direttamente dai cittadini e, ricevendo mandato direttamente dal popolo, non è dovuto passare per un voto di fiducia parlamentare.
Al contrario in Italia ad avere la centralità è il Parlamento. I cittadini eleggono deputati e senatori, che a loro volta eleggono il presidente della Repubblica. A quest’ultimo spetta il compito di incaricare un presidente del Consiglio che formerà il governo. Il quale, deve andare in Parlamento a chiedere la fiducia. Insomma, due sistemi completamente opposti. In una Repubblica parlamentare come quella italiana il presidente della Repubblica è una figura di garanzia, ma non ha grandi poteri.
A differenza del sistema presidenziale, in cui il presidente può porre un veto alle decisioni delle Camere, dirigere la politica estera del Paese e nominare alti funzionari. Prima che se ne tornasse a parlare in febbraio, in concomitanza con la elezione quirinalizia, FdI aveva presentato una proposta di legge, poi bocciata in commissione.
Una proposta che, appunto, avrebbe modificato la Costituzione portando di fatto a un semi-presidenzialismo, sul modello francese. Si mantenevano infatti il primo ministro e la possibilità del Parlamento di sfiduciare il governo.
Nel programma del centrodestra, al terzo punto, ci si limita a indicare la “elezione diretta del Presidente della Repubblica”, ma non è ancora chiaro in che modo verrebbe modificato tutto il resto del sistema. Come si può notare si naviga a vista e senza che si conosca il modello che si vorrebbe adottare. Tutto questo è sufficiente per creare allarme, come se si volesse attentare alla Costituzione.
Molto probabilmente non se ne farà nulla perché i numeri in Parlamento non ci saranno, d’altronde una cosa è tuonare dall’opposizione ed in campagna elettorale, altra cosa è governare con milioni di problemi da affrontare, quasi sempre in stato di urgenza ed emergenza.
Peraltro il centrodestra quando è stato al governo non ha modificato di una virgola il welfare, il fisco, la giustizia, la sanità e quant’altro aveva proclamato durante le elezioni. Questa volta la situazione è ancora più complessa, sul versante interno, europeo e perfino internazionale.