La disoccupazione corteggia le donne

La pandemia non sta facendo altro che rendere ancora più manifeste e violente le disuguaglianze attuali, tratto distintivo della struttura sociale italiana. Le donne pagano il prezzo più alto: quasi centomila quelle sul lastrico.

Roma – Quella gran brutta strega della pandemia ha innescato una serie di problemi a catena e si è molto impegnata per aumentare la forbice delle disuguaglianze sociali. Non solo perché i ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri, ma anche tra generi.

Nella rilevazione Istat di dicembre scorso i disoccupati sono aumentati di 101 mila unità. Un numero spaventoso se pensiamo che dietro alle stime statistiche ci sono persone in carne ed ossa. Ma se guardiamo alla suddivisione di genere, si resta interdetti dal fatto che il crollo numerico è avvenuto sulle spalle delle donne. Ammontano, infatti, a 99 mila quelle che si sono ritrovate disoccupate od inattive.

Ma, come si dice in questi casi “piove sul bagnato”. Nel senso che la pandemia ha concluso il suo capolavoro in una situazione generale già di per sé critica.

Il gender pay gap, ovvero il divario retributivo di genere, in soldoni il salario o stipendio percepito da una donna nei confronti di un maschio, si attesta intorno al 20%. 

La pandemia sta agendo in un contesto, nazionale e globale, in cui le disparità di genere nel mondo del lavoro erano una criticità già prima dell’emergenza sanitaria. Tant’è vero che l’Italia continua a perdere posizioni nei confronti dei paesi che attuano la parità salariale.

Inoltre il tasso percentuale è più basso sia per quanto riguarda l’occupazione complessiva del Paese, sia per il tasso di attività femminile. I terrificanti dati dell’Istat si sono abbattuti come una mannaia che si è accanita sui poveri corpi delle donne.

Questo aspetto non si palesa certo oggi ma rappresenta una piaga strutturale del nostro Paese. La pandemia non ha fatto altro che far precipitare ulteriormente la situazione.

Famiglia, casa e cura degli anziani sono a carico delle donne

Il fatto poi che il crollo occupazionale dell’ultimo periodo abbia adocchiato il genere femminile è dovuto alla natura del lavoro che svolge. Si tratta soprattutto di settori come quello dei servizi, dell’assistenza e domestico.

Ma l’aspetto più deleterio è che spesso sono contratti precari e part-time. Senza tutele sindacali di alcun tipo, né sicurezza. Pronte a subire il ruolo di capri espiatori e di vittime sacrificali dei datori di lavoro. Non hanno potuto neppure usufruire del blocco dei licenziamenti, misura varata dal governo precedente e confermata dall’attuale per arginare la crisi economica.

Del resto la pandemia non sta facendo altro che rendere ancora più manifeste e violente le disuguaglianze attuali che sono il tratto distintivo della struttura sociale italiana.

Disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro

Se le caratteristiche salienti delle donne sono bassa occupazione, contratti precari e, di rado, si trovano nelle posizioni aziendali di vertice, quelle considerate più sicure, è chiaro che non possono non subire le conseguenze più nefaste della crisi.

Non bastasse questo c’è da aggiungere che fuori dal lavoro è la realtà quotidiana che sferra loro il colpo di grazia. Infatti il carico della cura degli anziani e della casa grava ancora solo sulle loro spalle. Confermando l’Italia nei posti di coda tra i Paesi avanzati.

Per quelle fortunate che il lavoro non l’hanno perso e che hanno potuto utilizzare il nuovo totem dei nostri tempi, lo smart-working, (lavoro agile a distanza), la situazione è peggiorata. Perché si sono trovate nella gravosa condizione di non poter scindere il lavoro produttivo da quello riproduttivo, il tempo del lavoro da quello del non lavoro, in un continuum vorticoso.

Smart-working: una donna su tre lavora più di prima ma guadagna meno

Per molto tempo, poi, la stampa mainstream ha raccontato la fiaba che con la pandemia siamo tutti sulla stessa barca. A parte che ce ne sono tanti che non possiedono nemmeno una zattera, la realtà ci dimostra ogni giorno che la situazione è completamente diversa e la disoccupazione al femminile è sola la punta dell’iceberg.                                                                                                                      

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