La vasta area, famosa per la sua vocazione risicola, negli anni si è trasformata in un pericoloso giacimento di veleni micidiali per la salute dell'uomo.
Lomellina terra del riso. La pianta delle mondine, delle cascine immerse nei campi verdi, dell’argilla che diventa d’oro all’imbrunire. Il riso, sudore della fronte e fonte di reddito per centinaia di famiglie contadine. “Riso amaro” nel celeberrimo film con la Mangano, Gassmann e Vallone. Risaie senza fine nel corso degli anni trasformate in fazzoletti di prezioso humus sempre più ristretti e fagocitati dall’industrializzazione degli anni d’oro dell’economia italiana.
Oggi la Lomellina, 58 comuni nella provincia di Pavia, quasi tutti raggiungibili da Milano con un’ora di strada, ha perduto la sua naturale vocazione agricola. Vocazione storica ricca di cultura e tradizioni popolari che si è dovuta piegare davanti alle attività devianti di stampo mafioso da un lato e al depauperamento del territorio di natura industriale dall’altro.
I due fattori negativi in uno con il crollo dei prezzi del prodotto di punta, delle produzioni risicole e delle esportazioni, hanno favorito la speculazione delle vaste aree pianeggianti riconvertite in discariche, in stazioni di lavorazione di materiali tossici e nocivi, stabilimenti ad alto rischio d’inquinamento e all’installazione di un termovalorizzatore di gigantesche proporzioni. La Lomellina è anche terra di rifiuti tossici e nocivi (anche radioattivi) tra le chiuse dell’acqua che scorre in mille rigagnoli dove saltellano le rane e spiccano il volo gli aironi rosa e cinerini.
In questo proscenio naturalistico un tempo vanto della Lombardia, i dati tossicologici e dell’enorme impatto ambientale da agenti inquinanti già parlavano chiaro dieci anni fa: Lomellina come la Terra dei Fuochi in Campania. Se non peggio. E non per mera similitudine di numeri. Piuttosto per la sempre più grave situazione della salute pubblica che, grazie a connivenze e complicità anche ai vari livelli istituzionali, avrebbe raggiunto e superato la soglia da allarme rosso senza che nessuno se ne preoccupi.
Ma andiamo ai fatti. La bandiera nera della Lomellina spetta a Parona, la cittadina delle gustose Offelle, un dolce tipico locale assai conosciuto in zona. Il paesino conta 2052 abitanti (censimento del 2012) e circa 160 insediamenti industriali ubicati all’interno del territorio comunale di appena 9,3 chilometri quadrati. Un lembo di terra intriso di veleni di ogni tipologia. Nel 2001 l’ottavo censimento generale dell’Industria e dei Servizi calcolava con certezza che su una popolazione di 1698 abitanti le maestranze occupate in 165 imprese erano appena 1271 e residenti a Parona solo qualche centinaio.
Negli anni gli occupati, crisi a parte, sono molti di più ma risiedono altrove. L’assunto del costruisco la fabbrica, inquino, ti ammorbo l’aria ma ti assumo è solo una burla da campagna elettorale. Ma c’è dell’altro. Parona era già stata considerata come esempio di eccessiva industrializzazione nel Geodatabase 2000-2002 nel confronto con i dati Istat del 1991 ma nessuno avrebbe mai posto un freno alla concessione di aree industriali e, ironia della sorte, a quelle edilizie tanto da portare Parona al secondo posto in provincia di Pavia come consumo del suolo calcolando l’incremento delle aree antropizzate dal 1954 al 2007.
Ovvero cementificazione selvaggia perché le disgrazie, come si dice, non vengono mai da sole. A Parona non c’è componente chimico, più o meno tossico, che non venga manipolato per la realizzazione di prodotti finiti o utilizzato nei cicli di lavorazione. Cinque sarebbero le fabbriche più pericolose. La Fonderia Vigevanese Spa, un colosso che sfornerebbe 20 tonnellate al giorno di metalli ferrosi. La Intercoating Srl, grande impianto chimico per la produzione di idrocarburi ossigenati.
Lomellina Energia Srl che gestisce il termovalorizzatore, marca Tissen & Krupps, inaugurato al suono di pifferi e tamburi nel 1998 quando il gemello “Robbins” di Chicago veniva dichiarato dismesso perché estremamente pericoloso per la salute e la sicurezza dei cittadini americani residenti nelle vicinanze dell’impianto. Rohm and Haas Italia Srl, azienda chimica per la fabbricazione di gomme sintetiche e la Vedani Carlo Metalli Spa (che oggi si chiama Intals, la stessa ditta che custodisce materiale radioattivo pare in via di trasferimento), azienda per la fusione e lega di metalli non ferrosi, compresi prodotti di recupero (affinazione, formatura in fonderia) con una capacità di fusione di oltre 4 tonnellate al giorno per piombo e cadmio e superiore a 20 tonnellate al giorno per tutti gli altri metalli.
Se si fosse fatto uno studio serio di impatto ambientale, anche il più spregiudicato degli esperti non avrebbe disposto l’ubicazione di una fonderia d’alluminio di queste dimensioni vicino ad un inceneritore in quanto, già per cause naturali il sottosuolo genera ammoniaca, precursore delle polveri sottili e causa del 50% delle PM10 durante l’inverno. Un sesto impianto, una mega centrale elettrica della Union Power da 400 megawatt stava per sorgere sul martoriato territorio di Parona ma una petizione popolare di 700 firme ne avrebbe stroncato il progetto già in avanzata fase di attuazione e, come pare, con il nulla osta della municipalità.
Basti pensare a questi fattori di rischio e alla quantità di ammoniaca che libera una fabbrica come la Vedani per rendersi conto della salubrità dell’aria che si respira a Parona e comuni viciniori. Ma i veleni non si limitano certo all’ammoniaca che sembrerebbe, per dire, il minore dei mali. In Lomellina (dove ricade una delle più vaste raffinerie d’Europa, quella dell’Eni di Sannazzaro de’ Burgondi) ci si ammala un po’ di tutto, basti vedere il Registro nazionale dei Tumori di Pavia a partire dal 2003 per rendersene conto.
Grazie a Dio non ci si fa mancare nulla: dalle diossine agli NOx (ossidi di azoto e loro miscele), alle PM 10 (materia particolata presente nell’atmosfera sotto forma di particelle microscopiche); dall’ammoniaca agli altri componenti chimici tossici alle nano polveri. Ma a uccidere come un killer seriale sono le diossine che si depositano nel suolo (anche sulle piante di riso appena interrate e per percolazione il veleno penetra nel sottosuolo attraverso le acque irrigue sino a raggiungere le faglie del prezioso liquido) e da qui tramite la trasformazione delle materie prime in cibo vengono assorbite tramite il sistema digerente.
Le diossine, infatti, penetrano nei vegetali e diventando cibo per gli animali da pascolo e da cortile, si accumulano nel tessuto adiposo di mucche, suini, ovini, caprini ma anche di oche (famose quelle di Mortara da cui si ricava il grasso d’oca ed il gustosissimo sugo con cui si condiscono le paste fatte in casa) tacchini e galline. Una volta ingeriti questi composti organici eterociclici diventano un potente veleno i cui danni alla salute sono svariati e gravissimi.
Tra le diossine, la TCDD è la molecola dotata di più spiccata tossicità ed è dimostrata la sua capacità di causare un’ampia gamma di gravissimi effetti nocivi nell’uomo. In primo luogo la capacità di indurre tumori. Dal 1997 lo IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ha classificato la diossina TCDD in classe 1 come cancerogeno certo per l’uomo. Gli studi epidemiologici hanno evidenziato un significativo eccesso di tumori in toto negli esposti.
Esistono chiare evidenze di rischi per la riproduzione anche a basse concentrazioni di diossina, che può causare effetti mutageni sul DNA, aumentata incidenza di aborti, malformazioni fetali, riduzione della fertilità con danno agli spermatozoi. Le diossine sono in grado di esercitare un effetto tossico sul sistema immunitario con effetti di depressione delle difese mediate dagli anticorpi. E in tempi di pandemia scusatemi se è poco. Nell’animale e nell’uomo è stata dimostrata la capacità delle diossine di interferire con il sistema endocrino (tiroide, sistema riproduttivo).
Alle diossine è stata attribuita, seppure con alcune incertezze, anche una patologia cutanea denominata cloracne, con eruzioni cutanee e pustole simili a quelle dell’acne giovanile, talvolta estesa all’intera superficie corporea che possono perdurare, nei casi più gravi, per anni. In questa parte della Lomellina le patologie da assorbimento di diossine ci sarebbero tutte ma l’aria è buona (mentre la neve chimica scende nera come il carbone), diceva un sindaco anni fa e le Offelle sono un dolce prelibato anche se il più noto laboratorio dolciario che le produce si trova ubicato nella zona industriale ormai satura di acidi e veleni.
Ma oltre il danno anche la beffa. Con ordinanza numero 40 del 29 dicembre 2011 l’allora sindaco di Parona, Silvano Colli, ordinava a tutti i suoi concittadini il divieto di consumare e di cedere a terzi carni e uova derivanti da allevamenti locali come dire occhio ai veleni meglio non mangiarli, né venderli. Avallando cosi le dichiarazioni più volte cavallo di battaglia degli ambientalisti: a Parona si muore per colpa delle diossine e di altri svariati e forse più pericolosi composti chimici liberati dalle fabbriche i cui impianti di filtraggio e depurazione fanno quello che possono.
Poi non mancano le polveri sottili. Questi agenti inquinanti patogeni raggiungono le parti più profonde e delicate dei nostri polmoni dove si accumulano provocando l’incremento della gravità degli attacchi d’asma, aggravamento di bronchiti e altre malattie respiratorie riducendo la funzionalità dell’apparato immunocompetente. Che cosa potrebbe accadere in un organismo intossicato da polveri sottili e contagiato dal Covid-19? Le persone più vulnerabili sono anziani e bambini. Due dati: anni addietro lo smog a Parona aveva superato di quattro volte il limite di legge (Pm10 di 225 microgrammi al metro cubo), guarda caso i valori più alti si erano registrati oltre che a Parona anche a Sannazzaro, paesi dove insistono realtà industriali di un certa tipologia.
A suo tempo sempre Parona aveva superato più volte i limiti di legge riguardanti 35 giorni di sforamento dei 50 μg/m3, oltrepassando questo livello per altri 49 giorni. Da ultimo ma non per ultimo il NOx, questo sconosciuto. Il Biossido di Azoto è un gas irritante per le mucose, responsabile di numerose alterazioni delle funzioni polmonari, bronchiti croniche, asma ed enfisema polmonare. Lunghe esposizioni anche a basse concentrazioni provocano una drastica diminuzione delle difese polmonari con conseguente aumento di rischio di affezioni alle vie respiratorie. Una vera manna per il Coronavirus.
Ma non basta. Dopo anni di proteste pare che la situazione sia rimasta invariata: i residenti denunciano improvvisi attacchi d’asma con l’aria che puzza di ammoniaca, specie nei dintorni della zona industriale. Le conseguenze sulla salute dei cittadini della provincia pavese ed in particolare nei comuni di Mortara, Parona e Vigevano erano già crudelmente riportati nel Documento di Programmazione ASL della Provincia di Pavia del 2010. Dieci anni fa. Da questo resoconto, comunque parziale, si evinceva che le malattie logicamente riconducibili all’inquinamento atmosferico, avrebbero mietuto più vittime in questa sfortunata provincia rispetto alla media lombarda.
L’incidenza dei tumori dell’apparato respiratorio, secondo i medesimi dati, per gli uomini è stata maggiore del 10,8% della media regionale e del 19,7% della media nazionale. Intanto i comitati d’affari continuano a lucrare sulla chimica più dannosa per l’uomo ed hanno le mani in pasta dappertutto. Cifre da capogiro e sono disposti a tutto pur di incrementarle. La ‘ndrangheta, con la sua manovalanza a buon mercato, fa il resto con i rifiuti speciali, tossici e nocivi nascosti nei mille anfratti immersi nelle acque sotterranee delle cave dismesse. Oppure si bruciano nei capannoni e per giorni l’aria diventa acre e irrespirabile. Lomellina terra del riso. Amaro.