Le voci che arrivano al grande pubblico sono quelle di chi ha interessi economici. Esistono alternative più efficaci e meno cruente degli abbattimenti tanto richiesti.
Roma – Gli allevatori protestano. Vogliono l’abbattimento dei cinghiali: “…Stiamo difendendo le nostre aziende. Quelle che ci hanno lasciato i nostri padri e i nostri nonni, le stesse che vogliamo lasciare ai nostri figli…”. Nel Lazio sono presenti molte aziende suinicole, alcune delle quali dispongono anche di oltre settemila capi. Il loro futuro, stando agli allevatori, sarebbe messo a rischio senza gli abbattimenti.
“…Alcuni allevamenti hanno al loro interno oltre 7.000 suini, tra scrofe utilizzate per la riproduzione e cuccioli. Numeri impressionanti – rispondono Avi Parma e Meta Parma – gli animali liberi sono considerati troppi, mentre gli allevamenti sono pieni di animali destinati al mattatoio e soggetti a malattie. Un paradosso….”.
“…Invece di chiedere gli abbattimenti – proseguono le associazioni animaliste – dovrebbero chiedere la sterilizzazione dei cinghiali. Caccia e abbattimenti sono una possibile causa di diffusione del virus. Anzitutto per le usuali pratiche di eviscerazione degli animali uccisi sul posto. Oltre a ciò, spaventando gli animali li si spinge a scappare e a spostarsi altrove, diffondendo ulteriormente il contagio. Gli abbattimenti di cinghiali si stanno ripetendo ciclicamente da anni. I cinghiali vengono prima lasciati riprodurre e poi abbattuti perché in sovrannumero. Una strage senza senso…”.
Oltre a quello sanitario il problema che si pone è anche etico. Per le associazioni “…gli allevatori stanno chiedendo l’uccisione dei cinghiali per poter continuare a sfruttare e macellare i suini rinchiusi negli allevamenti…”. Un massacro per favorire altri massacri.
Come se non bastasse è ormai risaputo che gli allevamenti intensivi sono tra le cause principali di emergenza climatica e inquinamento ambientale. La filiera della macellazione industriale contribuisce al riscaldamento globale, inquina terra, acqua e aria. Ma i danni non si limitano a questo. Il consumo industriale di carne contribuisce largamente a deforestazione, perdita di biodiversità, sviluppo di zoonosi e resistenza agli antibiotici.
Oltre all’estrema sofferenza inflitta a queste creature, gli allevamenti e le macellazioni hanno un devastante impatto sul nostro pianeta e sulla nostra salute ed esistenza. Sarebbe il caso che chi di dovere inaugurasse un processo di transizione verso un’industria alimentare più etica e sostenibile.
Si potrebbero aiutare le aziende a compiere questa dovuta svolta epocale. Ma non sembra siano i fondi mancanti il nodo che blocca il progresso. Piuttosto si vedono un po’ troppe strizzate d’occhio alle lobby della caccia e dell’alimentazione. Condite da una certa dose di indolenza. Esempi virtuosi ce ne sono, sarebbe il caso di seguirli.