Il Gup di Reggio Emilia deciderà se mandare a processo o meno i cinque imputati, tutti parenti fra di loro, sospettati di aver ucciso Saman Abbas “colpevole” di non sottostare alla volontà di un matrimonio combinato dalla famiglia. I suoi genitori sono ancora latitanti.
Novellara – Il 17 maggio prossimo inizierà con l’udienza preliminare il processo nel tribunale di Reggio Emilia per stabilire chi ha ucciso Saman Abbas, la studentessa diciottenne scomparsa il primo maggio dell’anno scorso. Cinque gli imputati: lo zio della vittima, Danish Hasnain di 34 anni, e i due cugini, Ikram Ijaz, 28 anni, e Nomanhulaq Nonamhulaq di 35, tutti detenuti in Italia oltre ai genitori della vittima, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, ancora latitanti e per i quali il governo pakistano, come spesso accade, non ha nemmeno risposto alla richiesta di rogatoria internazionale avanzata dal nostro Paese. I reati ipotizzati sono concorso in sequestro, omicidio e soppressione di cadavere.
I tre parenti detenuti hanno sempre respinto le accuse e in caso di estradizione dei genitori della povera ragazza c’è da attendersi la medesima proclamazione di innocenza. Dunque chi ha ucciso Saman? L’unica cosa certa rimane il movente: la diciottenne sarebbe stata ammazzata, e il corpo probabilmente distrutto, perché aveva rifiutato un matrimonio combinato dalla famiglia per poi intrecciare una relazione sentimentale con un suo connazionale. Dunque una motivazione religiosa, nella più stretta osservanza della dottrina islamica, che prevede simili aberranti punizioni per chi sgarra le regole. Una sorta di violazione dell’onore familiare che proprio i congiunti del “reo” debbono lavare con il sangue.
L’udienza di oggi dunque vedrà alla sbarra quelli che la Procura di Reggio Emilia, Pm Laura Galli, ritiene siano i maggiori indiziati quali esecutori materiali dell’atto criminale. Per gli inquirenti sarebbe stato Danish Hasnain ad uccidere Saman, supportato dai due nipoti Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nonamhulaq, che avrebbero aiutato lo zio a nascondere chissà dove il corpo senza vita della studentessa.
Le prove a carico dei cinque imputati sono rappresentate dalle dichiarazioni del fratello della vittima, residente in una struttura per minori, alcuni testimoni e i video delle telecamere di sorveglianza dell’azienda agricola dove lavorava l’intera famiglia di pakistani che inquadrano zio e nipoti con arnesi da scavo e un piede di porco mentre vanno e tornano dai terreni coltivati circostanti. Poi le ricerche, affannose e capillari, effettuate in lungo e in largo con l’ausilio di cani, droni e apparecchiature di rilevamento ad alta tecnologia. Gli sforzi sono stati vani ma l’impegno delle istituzioni è stato massiccio e gravoso. Sotto tutti i punti di vista:
”…Dovrei andare io da uno psicologo, per me questa vicenda è stata pesante a livello psicologico – ha detto durante il corso di una conviviale Luigi Regni, comandante della Compagnia carabinieri di Guastalla, dal 2003 al 2012 a capo della Compagnia di Casalmaggiore – pochi giorni fa è stato reso pubblico il video che mostra, pochi minuti dopo la mezzanotte tra il 30 aprile e il primo maggio, Saman che esce di casa accompagnata dai due genitori che, poco dopo, rientrano da soli. Il padre poi esce e ritorna con lo zainetto che aveva la figlia. Vedo quel video da un anno e ancora mi chiedo dove possa essere la ragazza. Ormai non riesco più a passare di lì…”.
Regni, che dirigeva le indagini, si diceva certo che il corpo della giovane fosse sepolto nella zona di Novellara e, all’epoca dei fatti, ogni indizio avvalorava questa ipotesi:
”…Stiamo bucando terreni per ettari ed ettari – aveva dichiarato il comandante nel giugno del 2021 – perché siamo certi che il corpo di quella povera studentessa sia sepolto in questa zona. Una storia agghiacciante che nella mia ormai lunga carriera non avevo mai incontrato…Stiamo lavorando senza sosta non solo per assicurare i responsabili alla giustizia ma anche per restituire un minimo di dignità umana a una ragazza che ha pagato per il suo desiderio di vivere…”.
Da Novellara alle rive del Po i carabinieri non hanno lesinato fatica e dedizione al dovere ma, forse, è mancato quel pizzico di fortuna che, spesso, aiuta gli investigatori a risolvere casi molto complessi. Con le accuse in atto i cinque imputati non possono chiedere il rito abbreviato, dunque non rimane altro che il rito ordinario.