Le voci di corridoio che corrono su Draghi e l’interscambio dei ruoli con Mattarella sono solo illazioni dei malevoli. Forse il premier è deluso dalla scarsa consapevolezza che dimostra la sua squadra di governo nei riguardi delle gravi responsabilità che incombono sul destino dell’Italia. Cercasi soluzioni.
Roma – Il governo Draghi è al lavoro ormai da due mesi per fronteggiare le diverse emergenze del Bel Paese. Gli sforzi sono concentrati in particolare nella lotta al Coronavirus e nel fronteggiare la complicata crisi economica in corso, dovuta in larga parte proprio alla pandemia.
In particolare ogni sforzo è diretto nella campagna di vaccinazioni, avvio del Pnrr e definizione del piano di riforme, giustizia in testa, per poi lasciare Palazzo Chigi entro fine anno. Almeno cosi dicono i soliti bene informati.
Se cosi stessero davvero le cose appare più che giustificata la fibrillazione di alcuni leader politici che nella prospettiva di questo inquietante scenario, comunque smentito dallo stesso Draghi, ritengono necessario correre ai ripari. O, se volete, alle grandi manovre.
In questa ottica dunque Mattarella, dopo la scadenza del proprio mandato nel 2022, dovrebbe rimanere ancora un anno al Colle per permettere a Draghi di finire la sua opera di premier per poi subentrare nel suo ruolo nel 2023. Tutto scritto, tutto deciso. I famosi “conti senza l’oste”.
Così infatti non sarà. Le voci sono circolate a lungo, così tanto a lungo che forse il diretto interessato ha deciso che è tempo di sgombrare il campo da ogni dubbio. E farebbe bene a farlo subito.
In tal modo Sergio Mattarella potrebbe chiudere la porta ad un eventuale ma improbabile bis. Il capo dello Stato infatti finirà il suo mandato e non resterà un solo giorno in più al Quirinale.
In coerenza, peraltro, con altre simili dichiarazioni. Basti ricordare, infatti, il discorso presidenziale di Capodanno, occasione in cui Mattarella aveva ribadito molto bene l’argomento per mettere a tacere, una volta per tutte, certe voci assai malevole: “… Quest’anno, anche perché è l’ultimo del mio mandato, non potevo e non volevo fare a meno di questo incontro...”. Il settennato terminerà il 3 febbraio del 2022 senza alcun prolungamento.
Peraltro è opportuno ricordare che il 25 marzo scorso, quando Benigni si esibiva con Dante Alighieri al Quirinale, lo stesso artista si era rivolto a Mattarella in maniera molto chiara: “…Presidente, a me dispiace che lei stia per finire il suo mandato e che vada via…”. E Mattarella, con un sorriso appena accennato, aveva risposto: “…C’è un tempo per ogni cosa…”.
Ma a destare grandi e reali perplessità non è la durata del mandato del presidente siciliano, piuttosto il lasso di tempo entro il quale l’attuale maggioranza, cosi composta, si scioglierà come neve al sole. Pare che Draghi, stavolta sul serio, abbia confidato ad alcuni suoi fedelissimi che gli chiedevano numi sui suoi progetti futuri di volersene andare dopo Natale. Ovviamente con tutto l’esecutivo al gran completo.
Quale siano le ragioni di questa “presunta” decisione non c’è dato a sapere ma, Quirinale a parte, il messaggio ai suoi interlocutori è palese. E chi ha orecchie per intendere, come si dice, intenda.
Poi si possono anche fare anche altre ipotesi. Per esempio sul programma di governo, che grosso modo dovrebbe svilupparsi entro un anno. Questo è infatti il tempo che occorrerà per vaccinare gli italiani e, più o meno, è anche il tempo che servirà per presentare il piano del Recovery Fund, farlo timbrare in Commissione UE e dare avvio alle danze.
Proprio l’attuazione del piano resta la condizione indispensabile per incassare il mastodontico finanziamento europeo. Non dimentichiamolo. Comunque trascinarsi fino alla primavera 2023, in maniera inconcludente non ha senso. Anche perché l’anno che precede le elezioni è quasi sempre un anno gettato alle ortiche, durante il quale è impossibile portare a termine riforme importanti o altri progetti corposi.
Il Premier invece sarebbe piuttosto deluso e irritato dalle continue beghe e dai litigi della sua maggioranza. Per non dire delle inutili gare per marcare il territorio o delle altre diatribe politiche che non servono nemmeno per acquisire consensi. L’impressione è quella di un Premier deluso, soprattutto per la scarsa consapevolezza della sua squadra davanti alle gigantesche responsabilità che riguardano il destino del Paese.
Mario Draghi, da esperto della Finanza e di uomini qual è, sapeva bene a che cosa sarebbe andato incontro con questo equipaggio. Ed ora è un po’ tardi per pentirsene. Spinga al massimo il piede sull’acceleratore con l’auto che ha a disposizione e punti ai traguardi possibili.
Il resto è ben poca cosa in un momento storico tragico dove il gioco del rimpiattino o, peggio, quello della mosca cieca potrebbero creare danni irreversibili. Se non ci rialziamo adesso non potremo più farlo. E Draghi lo sa bene. A buon intenditor…