Nonostante l’intento della riforma sia nobile nella realtà dei fatti il decreto Trasparenza non fa altro che oberare gli imprenditori di ulteriore burocrazia. Come se non bastassero gli altri problemi: fisco, lavoro, licenziamenti e povertà dilagante.
Il lavoro ostaggio della burocrazia. Il lavoro? E’ scomparso. E’ proprio il caso di dire, visto che sembra introvabile. Non solo per la crisi economica e sociale dovuta alla pandemia e alla guerra in Ucraina, da cui sono scaturiti aumenti sconvolgenti dei costi energetici. Ma anche per le pastoie burocratiche, di cui siamo maestri mondiali. Dal 13 agosto è entrato in vigore il d.l. n. 104/2022 (c.d. Decreto Trasparenza), di recepimento della direttiva UE 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea. La ratio della legge è di tutelare i lavoratori, imponendo ai datori di lavoro di fornire con chiarezza e trasparenza le informazioni relative alle condizioni di lavoro.
Lo scopo è la prevenzione di situazioni di sfruttamento ed ambigue, quelle zone grigie il cui il lavoratore è vittima di ricatti e soprusi. Si tratta di una pletora di lavoratori, dipendenti con contratto a tempo indeterminato e determinato, a tempo pieno o part time, sia del settore pubblico che privato. Inoltre, il lavoro somministrato, intermittente, a prestazione occasionale e di collaborazione. Inclusi, anche, i lavoratori del comparto agricolo, i marittimi e i collaboratori domestici, come colf e badanti. In pratica i lavoratori di qualsiasi tipo. Non sfugge nessuno alle grinfie del decreto trasparenza. Il guaio è che come siamo bravi noi a impelagarci in tortuosi iter burocratici, nessuno al mondo lo è!
Così invece di semplificare le modalità di assunzione dei lavoratori, vengono posti una serie di lacci e lacciuoli che la bloccano. Rendendo ancora più difficile trovare lavoro. Almeno così hanno dichiarato le organizzazioni di settore ed i consulenti del lavoro, che all’unisono hanno chiesto un rinvio al Ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Troppe scartoffie da presentare previste dal decreto con rischi di intasamento e rallentamento degli uffici delle Risorse Umane e dei Caf, quindi delle assunzioni stesse. Dall’entrata in vigore del decreto, il datore di lavoro deve comunicare al lavoratore, in forma cartacea o digitale, informazioni ulteriori rispetto a quanto previsto dalle leggi vigenti.
In particolare: l’identità delle parti, anche quella del co-datore se presente; il luogo di lavoro; la sede o il domicilio del datore; l’inquadramento, il livello e la qualifica del lavoratore; la data dell’inizio del rapporto di lavoro e quella di fine se questo è a termine; la tipologia del rapporto di lavoro; l’importo iniziale della retribuzione, o il compenso e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo e della modalità di pagamento; la durata del periodo di prova, dove previsto.
Ma non basta, poi seguono: il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore di lavoro, se prevista; la durata dei congedi per ferie e altri congedi retribuiti; la programmazione dell’orario normale di lavoro, le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e dei cambiamenti di turno; la procedura, la forma e i termini del preavviso in caso di recesso del datore di lavoro e in caso di recesso del dipendente; l’indicazione degli istituti previdenziali e assicurativi, come l’Inps, che ricevono i contributi versati.
Con questa nuova procedura, che si riferisce ai contratti stipulati dal primo agosto, il datore di lavoro su richiesta del lavoratore è soggetto ad obbligo di risposta entro 60 giorni, pena corpose sanzioni. Per questi motivi il Consiglio Nazionali dell’ordine dei Consulenti del Lavoro ha chiesto un periodo transitorio per l’entrata in vigore dei nuovi obblighi informativi e la sospensione delle multe in caso di inosservanza delle norme.
Se si rischia di pagare una multa per assumere un dipendente, tanto vale non farlo: è questo che hanno pensato alcuni datori di lavoro! Ora, pur non entrando nel merito giuridico del decreto e delle giuste ragioni dei Consulenti del Lavoro, viene naturale chiedersi: possibile che nell’era digitale, ci si riesce ad incasinarsi, anche quando l’intento è nobile?