La giovane maghrebina era scomparsa da casa apparentemente senza motivo. Tre anni dopo dalla sparizione un camionista segnalava la presenza di resti umani dentro due sacche di plastica. Una successiva indagine sul satanismo finiva con un nulla di fatto. Indagini iniziali non approfondite e lungaggini giudiziarie non hanno permesso di risolvere il caso. La mamma della vittima chiede giustizia.
Prato – Chi ha ucciso e fatto a pezzi il corpo di Imane Laloua, la ragazza marocchina di 22 anni ritrovata cadavere il 21 giugno 2006? A 15 anni di distanza dal ritrovamento dei poveri resti scarnificati, e a 18 dalla sua scomparsa, l’omicidio della giovane maghrebina rimane insoluto.
La madre della vittima, Zoubida Chakir di 63 anni, gira l’Italia per cercare una traccia, un indizio, una confidenza che possa portare all’identificazione dell’assassino, o degli assassini, che hanno ucciso la figlia per poi tagliarla a pezzi e nasconderli dentro due sacchi di plastica abbandonati in un boschetto di località Villa Vecchia, vicino all’autostrada A1, dopo il casello di Barberino del Mugello.
Imane Laloua lasciava il Marocco nel 1995 per raggiungere la madre a Firenze e da qui le due si trasferiranno a Montecatini Terme dove la mamma della ragazza aveva trovato un lavoro. Dopo un breve periodo di studi durante i quali apprendeva la nostra lingua, la giovane aveva trovato occupazione presso alcuni alberghi della località termale.
Nel 2003 lasciava l’abitazione della madre, in via Milazzo 14/A, per trasferirsi a Prato, in via Sabotino n. 18, assieme al marito ed altri suoi connazionali. L’uomo, anche lui di nazionalità marocchina, per problemi di droga, entrava ed usciva dal carcere. Laloua però non era più la stessa ed iniziava ad avere problemi sul lavoro mentre i litigi con il coniuge diventavano il suo pane quotidiano:
”…Quando ho saputo da alcuni conoscenti che il marito di Imane era finito di nuovo in carcere ero davvero preoccupata per mia figlia – racconta mamma Zoubida – vedevo che lei faceva di tutto per aiutarlo, ma le cose non miglioravano. A giugno sapevo che Imane voleva andare in Marocco a trovare i nonni e, quando è venuta a trovarmi a casa mia per preparare alcune cose per il viaggio, le ho proposto di partire insieme alla fine del mese, quando anche io potevo prendere le ferie dal lavoro. Le ho detto che doveva lasciar perdere quel marito che le stava rovinando la vita e che sapevo che lui era finito in carcere ancora una volta. Ho cercato di convincerla ma lei si è arrabbiata moltissimo. Abbiamo discusso come non ci era mai capitato prima e lei è andata via sbattendo la porta e dicendo che non voleva avere più nulla a che fare con me e che non dovevo cercarla più. Quella è stata l’ultima volta che l’ho vista...”.
Il 22 settembre del 2003 la mamma di Imane sporge denuncia di scomparsa alla polizia perché la figlia non si trova più. La donna riferisce ai poliziotti che il marito della giovane, durante quel periodo, è detenuto presso il carcere di Napoli. L’uomo, a dire di Zoubida, non avrebbe più notizie della moglie da almeno due mesi. Dopo la denuncia Zoubida Chakir non saprà più nulla della figlia e anche il genero, una volta uscito dal carcere, si trasferirà in Spagna senza cercare più la moglie:
”… All’inizio non ci furono indagini ufficiali in quanto le autorità ritennero la sparizione di Imane un allontanamento volontario – aggiunge Zoubida – mi recavo in questura almeno tre volte alla settimana, ma gli inquirenti mi dicevano che non c’erano novità di rilievo. Ho potuto presentare ufficiale denuncia di scomparsa solo a settembre. Nei due mesi precedenti andai molte volte a cercarla a Prato, ma nessuno mi diede informazioni in merito al destino di Imane. Già nel 2004, all’interno della comunità maghrebina di Prato, girava voce che Imane fosse morta, ma le autorità non poterono mai confermare tale ipotesi in quanto non era stato trovato alcun cadavere…”.
Poi il tragico epilogo. Un camionista segnalava la presenza di alcuni sacchi con resti ossei nelle vicinanze di un boschetto attiguo all’autostrada A1. Era il 21 giugno del 2006. Una successiva inchiesta sul satanismo si sarebbe trasformata in un nulla di fatto.
Il ritrovamento delle ossa era stato messo in relazione con le confessioni di una ragazzina di 16 anni che aveva descritto nel suo diario un sacrificio umano. L’adolescente scriveva che nell’agosto 2004, insieme ad un amico, avrebbe compiuto sevizie e violenze in danno di una donna incontrata per strada.
La ragazzina pare frequentasse un gruppo di giovani satanisti che facevano sesso nei cimiteri profanando tombe e rubando resti ossei di poveri defunti. I genitori della ragazza scoprirono nel 2006 il diario e la raccapricciante descrizione del rito sacrificale e avvertirono la polizia.
L’analisi autoptica della salma ritrovata accerterà che il cadavere era stato fatto a pezzi con un seghetto circolare. Le ossa sarebbero state scarnificate e chiuse con cura in sacchetti di plastica azzurri, riposti poi in un sacco nero della spazzatura.
In un altro sacco erano state depositate le parti molli. Mancavano 5 vertebre, il cranio, le parti inferiori di gambe e braccia. Secondo il consulente medico-legale la morte della donna risaliva a circa due anni prima del ritrovamento. Nonostante l’impegno degli investigatori non venne fuori alcuna prova del sacrificio satanico e la ragazzina del diario confessò di aver scritto di fantasia. Il fascicolo finiva in archivio.
Nel 2017 il caso era stato riaperto grazie alle indagini genetiche disposte dalla Procura di Prato. Il genetista Ugo Ricci, infatti, stabiliva che il Dna confrontato con quello di Zoubida Chakir era quello della figlia Imane, la donna scomparsa a Prato nel lontano 2003.
A questo punto il fascicolo veniva inviato per competenza alla Procura di Firenze dove la Pm Giuseppina Mione apriva una nuova inchiesta per omicidio e occultamento di cadavere. Sino ad oggi nulla di nuovo: l’assassino o gli assassini sono rimasti impuniti. Mamma Zoubida invoca giustizia.