Una prima fase è stata chiusa ma dietro la strage della stazione rimango segreti, dubbi e perplessità che dovranno essere svelati. Prima o poi. La città delle Due Torri non dimentica. Mai.
Bologna – Per la strage della stazione sono stati condannati in via definitiva, come esecutori materiali, gli ex militanti dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.
Eppure secondo Sandro Veronesi, un passato da giornalista d’inchiesta e fresco del secondo premio Strega con “Il Colibrì” (La nave di Teseo), i veri colpevoli sono ancora uccel di bosco:
“...Mi porto dietro l’amarezza di un caso – ha detto Veronesi – forse il più eclatante, sanguinoso e impressionante al quale abbia mai assistito nella mia vita, in cui si è andati a pescare nell’acqua sbagliata. Insomma, il tutto mi da l’idea che giustizia non sia stata fatta. E mi pare di vedere che questa sia una cosa condivisa. Altrimenti, Mambro e Fioravanti non avrebbero dovuto godere di quei benefici di legge di cui hanno goduto…”.
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Condannati sì, colpevoli no. Criminali ma non con un atteggiamento stragista. Una tesi che lo scrittore ha formulato dopo un attento studio dei fatti, in occasione di un progetto cinematografico degli anni novanta mai andato in porto. Idea che si fa portavoce di un movimento innocentista e condivisa, tra gli altri, anche da Vittorio Feltri e Giovanni Minoli, convinti che coloro che sono stati giudicati come i grandi esecutori non avessero la caratura criminale adatta per compiere un atto del genere.
La storia processuale di questo tragico attentato, il più grave e sanguinoso del secondo dopoguerra, è stato un lento ed inesorabile susseguirsi di depistaggi costruiti a tavolino e di strumentalizzazioni politiche. Molte, troppe le piste seguite che si sono sovrapposte in questo intricato ginepraio: da quella filo palestinese dei gruppi FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) e del gruppo tedesco “Separat”del comandante”Carlos” che, a sua volta, accusò CIA e Mossad (Intelligence e servizi segreti israeliani) alla ritorsione della NATO per mettere sotto pressione il governo italiano”filoarabista” del Lodo Moro, fino alla versione fantasiosa di Licio Gelli del mozzicone di sigaretta caduto accidentalmente sull’esplosivo o su una caldaia. E cosi via dicendo in un crescendo anche di fesserie e ipotesi bislacche.
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Dopo quarant’anni questo enorme puzzle sembra aver trovato il pezzo mancante: quello sull’identità dei mandanti della strage. Ci sono, finalmente, quattro nomi: Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi. Purtroppo però non ci sarà né un processo, né una sentenza di condanna o di assoluzione perché sono tutti morti. Gelli, che era già stato condannato per depistaggio, avrebbe agito con l’imprenditore e banchiere legato alla P2 Umberto Ortolani, con l’ex prefetto ed ex capo dell’ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato e con il giornalista iscritto alla Loggia ed ex senatore del Msi Mario Tedeschi. Gelli e Ortolani sarebbero stati i mandanti finanziatori, D’Amato il mandante organizzatore e Tedeschi solo organizzatore. Nonostante siano deceduti, sono stati iscritti nell’avviso di fine indagine in concorso con i tre esecutori Nar già condannati. A quest’ultimi si aggiungono Gilberto Cavallini, condannato in primo grado dopo la sentenza all’ergastolo di gennaio e “il quinto uomo” Paolo Bellini, primula nera di Avanguardia Nazionale, finito nel registro degli indagati solo quest’anno insieme a Quintino Spella, Piergiorgio Segatel e Domenico Catracchia accusati di depistaggio e falso al Pm.
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Per individuare il filo conduttore tra mandanti ed esecutori, gli investigatori hanno seguito i flussi di denaro, ovvero il viaggio di ben cinque milioni di dollari, partito da conti svizzeri riconducibili a Gelli e Ortolani e giunto nelle tasche dei Nar. Soldi che, secondo gli accertamenti, iniziarono a transitare dal febbraio 1979 nelle mani sia degli organizzatori della strage che dei depistatori stessi per ovvi motivi. La svolta è avvenuta tramite l’analisi degli atti del crac del Banco Ambrosiano e del documento”Bologna” sequestrato nel 1982 a Gelli, che in un bigliettino indicava un numero di un conto corrente aperto all’Usb di Ginevra dal”maestro venerabile”, di cui si fa anche riferimento nel ”Documento Artigli”, considerato tra i più importanti dagli inquirenti. La Procura felsinea, per il momento, ha messo la parola fine al nuovo round di indagini che, forse, si stanno avvicinando sempre più a quella verità richiesta a gran voce dai familiari delle 85 vittime, dilaniate da quella maledetta bomba che ha squarciato il cuore della città delle Due Torri. Bologna non dimentica. Mai.
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