I primi sei mesi del Piano Mattei: oltre 600 milioni per i progetti in campo

La relazione sullo stato di attuazione inviata alle Camere: sono 22 le schede di progetto della sfida ambiziosa che guarda all’Africa.

Roma – Ammonta a oltre 600 milioni di euro lo sforzo finanziario dell’Italia per i primi progetti del Piano Mattei. Si evince dalla relazione sullo stato di attuazione del Piano, inviato alle Camere dopo i primi 6 mesi di attività della Struttura di missione. Tra le 22 schede di progetto, anche quello in Kenya per l’ampliamento della produzione di olio vegetale per biocarburanti avanzati, il cui esecutore è Eni Kenya in partenariato con il ministero dell’Agricoltura locale. Il progetto è finanziato con 71 milioni dal Fondo italiano per il clima, amplificando un finanziamento di 128 milioni dell’International Finance Corporation (Banca Mondiale), per un pacchetto complessivo di circa 200 milioni. 

Può arrivare invece fino a 320 milioni di dollari, poco più di 300 milioni di euro, il contributo italiano alla fase 2 di sviluppo del “Corridoio di Lobito”, la nuova connessione ferroviaria tra l’Angola e la regione mineraria del rame in Zambia. L’Agricoltura è uno dei pilastri su cui si fonda il Piano Mattei per l’Africa, presentato a Palazzo Madama all’inizio del 2024. Lo scenario è allarmante, tra le minacce del cibo sintetico che avanza, e la grande anomalia evidenziata dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida del continente africano che “ha il 60% delle terre arabili, la forza lavoro più giovane del mondo, ma non è in grado di essere autosufficiente a livello alimentare”.

La presentazione in Senato del Piano Mattei

L’opera di convincimento di Lollobrigida e del governo Meloni vuole essere quella di spingere l’Europa e i Paesi del G7 – e questo è stato fatto a giugno a Borgo Egnazia – a guardare all’Africa come una grande potenzialità, non solo in termini quantitativi ma qualitativi del cibo. Così facendo la lotta all’immigrazione e alla malnutrizione ha un senso. La strategia messa a punto, che va a abbracciare investimenti virtuosi già avviati da Eni e Bf, guarda “allo sviluppo” di quei territori. In quest’ottica occorre puntare sulla formazione: come si coltiva e come si commercia. Occorre intervenire sui sistemi di irrigazione, che mancano. E cruciale è anche il supporto della tecnologia, che l’Italia e i Paesi sviluppati possono fornire per dare finalmente una svolta all’Africa.

La presidenza italiana del G7 ha voluto con forza aprire il summit di Borgo Egnazia di giugno scorso con una sessione dedicata all’Africa e dai partner ha “raccolto ampio sostegno, ampia condivisione” sul piano Mattei e sull’approccio italiano “che sta dando i suoi frutti”. Al termine della prima giornata di lavori Giorgia Meloni ha messo così il sigillo a quella iniziativa che da subito aveva voluto trainante del summit in Puglia. L’Italia vuole farsi promotrice fra i Sette Grandi – con la premer che aprendo i lavori è andata dritta al punto – nell’affermare che “l’Africa ci chiede un approccio diverso da quello che spesso abbiamo dimostrato in passato”.

Il Piano Mattei punta a diminuire i tassi di malnutrizione, favorire lo sviluppo delle filiere agroalimentari, sostenere lo sviluppo dei bio-carburanti non fossili. Per l’Algeria è previsto “un progetto di monitoraggio satellitare sull’agricoltura“, in Mozambico “un centro agroalimentare che valorizzi le eccellenze e anche l’esportazione dei prodotti locali”, mentre in Egitto il Piano intende “sostenere in un’area a 200 chilometri da Alessandria la produzione di grano soia, mais e girasole, con investimenti in macchinari, sementi, tecnologie, e nuovi metodi di coltivazione“.

Il premier Giorgia Meloni, parlando dei progetti sull’agricoltura, ha ribadito l’obiettivo degli obiettivi: “Non siamo impegnati solamente sulla ‘food security’, ma anche sulla ‘food safety’. Cioè la sfida che vogliamo centrare non è solo garantire cibo per tutti, ma garantire cibo di qualità per tutti”, ha spiegato. “Ed è fondamentale in questo il ruolo della ricerca, ma come ho già detto, non credo che quella ricerca debba servire per produrre cibo in laboratorio e andare, magari, verso un mondo nel quale chi è ricco potrà mangiare cibo naturale e chi è povero si potrà permettere solo quello sintetico, con effetti sulla salute che non possiamo prevedere. Non è questo il mondo che vogliamo costruire”.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa