Nonostante le diverse proposte di cambiamento se andassimo al voto in primavera il sistema elettorale rimarrebbe quello in vigore. Le novità non piacciono a nessuno. Specie ai partiti che sparirebbero come fantasmi.
Roma – La riforma del sistema elettorale rimane ancora una corsa ad ostacoli, nonostante gli accordi raggiunti prima della formazione del Governo Giallo-rosso-fucsia. Il taglio dei parlamentari è avvenuto, nonostante i dubbi e le perplessità di alcune componenti della maggioranza ma ancora stenta a decollare la nuova legge elettorale.
Il pacchetto di contrappesi, frutto di lunga trattativa per rendere organica la riforma della diminuzione dei parlamentari, è stato uno dei pilastri dell’accordo con l’esecutivo del Conte-bis. Il Pd aveva sempre votato contro la riduzione, tanto sbandierata dal M5S. Ma le strette di mano presupponevano la riduzione dei parlamentari ed una nuova legge elettorale.
Anzi il Pd era per l’inversione degli argomenti, per la poca fiducia nei pentastellati. Infine hanno avuto la meglio i Cinque Stelle. Il governo ha, comunque, approvato il decreto che ridisegna i collegi alla luce della riduzione di deputati e senatori. Però non appena sarà convertito in legge il decreto sui collegi si renderà pronto un sistema elettorale, nell’eventualità di un voto anticipato, con tutte le distorsioni a cui ancora bisogna pensare.
Specie per il Senato, infatti, le regioni medio-piccole rischiano di eleggere uno o due senatori, tagliando fuori in partenza alcune forze politiche dalla rappresentanza parlamentare. Le difficoltà sono tante per le diverse proposte e garanzie richieste dai partiti. Così il 2020 iniziava con un concordato tra le forze di maggioranza, poi smentito, su un testo di riforma di tipo proporzionale, in cui l’accesso alla ripartizione dei seggi è subordinato al raggiungimento, da parte delle singole liste, di una soglia di sbarramento del 5% sul piano nazionale o, in via alternativa, del 15% sul piano regionale.
Alla fine dell’anno, invece, ogni accordo è saltato, specialmente sul cosiddetto “Germanicum” o “Brescellum”, dal nome del primo firmatario Giuseppe Brescia. In buona sostanza la diaspora tra sistema maggioritario e proporzionale brucia ancora sotto le ceneri e crea non pochi problemi. Italia Viva chiede di procedere prima con la riforma dell’architettura istituzionale, con il superamento del bicameralismo, per poi passare alla definizione della legge elettorale.
La riforma elettorale non è mai stato un problema di facile risoluzione, infatti da essa può derivare la sopravvivenza o la scomparsa di un partito. Se in ogni caso, come ha affermato l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, si vuole realizzare una nuova legge elettorale la stessa “deve essere una legge maggioritaria, come la legge dei sindaci, in modo che la sera stessa delle elezioni si sappia chi ha già vinto”.
Ancora, però, nessun passo avanti è stato fatto nonostante le dichiarazioni distensive recentemente rilasciate. Così Italia Viva smentisce la sottoscrizione dell’accordo sulla proposta di riforma elettorale, sostenendo che l’attuale testo in discussione alla Camera non è stato né proposto né sottoscritto dai renziani. In ogni caso la commissione Affari Costituzionali a settembre ha adottato il Brescellum come testo base.
Così grazie all’astensione di Iv e Leu, si è creduto che ci fosse una intesa di massima mentre invece tutto era ed è in alto mare. Non sono in discussione questioni tecniche o soglie di sbarramento ma l’impostazione da dare ad un disegno organico di riforme istituzionali. In definitiva Iv chiede il superamento del bicameralismo paritario prima della legge elettorale, il M5S e Leu sono contrari ed il Pd è, invece, favorevole a lavorare sull’attuale assetto e suggerisce di andare avanti in maniera graduale.
Una cosa certa: la crisi del sistema-partito è certamente dovuta anche alla percezione di lontananza che i cittadini avvertono rispetto ai partiti. Questi ultimi infatti non assolvono in modo pieno al ruolo ad essi assegnato dalla Costituzione. Al di là di tutto non viene affrontata, nel testo, la questione della lunghezza delle liste, se si opterà per listini bloccati o, invece, si ritornerà alle preferenze come chiede il M5S.
La proposta di legge si compone di tre articoli e si basa su quattro capisaldi: abolizione dei collegi uninominali, impianto proporzionale, soglia di sbarramento nazionale al 5%, previsione del “diritto di tribuna”. Per ora, comunque, non ci sono modifiche e restano i listini bloccati del Rosatellum. Tante le proposte per votare ma nessuna ha visto ancora la luce. A chi conviene?
Ti potrebbe interessare anche —->>
ROMA – L’INGORDIGIA DEI PARLAMENTARI ITALIANI: QUANTO PAPPANO?