La verità nascosta dietro la tragedia aerea che ha sconvolto l’Italia, la lotta del maresciallo Dettori contro la congiura del silenzio e il misterioso collega francese Roland. Sono una decina le morti sospette di persone che a vario titolo sapevano dei segreti di Ustica.
Grosseto – Il 27 giugno del 1980 il volo IH870 corrispondente a un Dc-9 dell’Itavia, partito da Bologna e diretto a Palermo, scomparve dai radar precipitando nel Tirreno. All’alba del 28 Giugno vennero ritrovati i primi corpi delle 81 vittime: 77 passeggeri, tra cui 11 bambini, e quattro membri dell’equipaggio. Chi si è occupato di questa tragica vicenda, per cercare la verità, è morto in strani incidenti o suicidato. Fra questi il maresciallo radarista dell’Aeronautica militare Mario Alberto Dettori, 39 anni al momento della morte, originario di Pattada, in provincia di Sassari. All’epoca dei fatti era controllore di difesa aerea presso il radar di Poggio Ballone, provincia di Grosseto
E’ il 27 giugno 1980 e il sottufficiale segue sul monitor del radar il punto luminoso lampeggiante con il codice militare identificativo AJ421. Quel punto luminoso è il Dc 9 Itavia, con a bordo 81 civili. L’aereo si avvicina al “punto Condor”, cioè al buco nero nella copertura radar del traffico civile nel basso Tirreno. Il maresciallo accosta velocemente il viso al monitor perché vede improvvisamente saettare intorno al DC 9, un nugolo di punti luminosi.
E’ consapevole che quelle piccole luci sono jet militari. Non passa molto tempo che la traccia AJ421 scompare dallo schermo. Si spegne. Non è un glitch ovvero un problema tecnico del sistema ma una vera e propria tragedia epocale: 81 persone sono precipitate dal cielo di Ustica e saranno inghiottite da un mare notturno che diventerà la loro bara. Dettori smonta dal servizio a mattina fatta e torna a casa in stato di forte agitazione. La moglie Carla Pacifici, 76 anni ad oggi, madre di tre figli, Barbara, Andrea e Marco, chiede spiegazioni:
“È successo un casino, qui vanno tutti in galera – dice Dettori alla moglie – Stanotte siamo stati a un passo dalla guerra! Capite? Dalla guerra”. L’uomo si confida anche con la cognata a cui conferma la tragedia. Dettori porta con orgoglio la sua divisa azzurra e ben presto si accorge che intorno all’incidente si forma la congiura del silenzio. Due giorni dopo il radarista telefona al capitano dell’Aviazione Mario Ciancarella che in seguito ne subirà di tutti i colori: “Comandante, siamo stati noi a tirarlo giù. Siamo stati noi”.
Quando Dettori ritelefonerà all’ufficiale parlandogli del Mig libico ritrovato in Calabria ma in volo quel maledetto giorno, Ciancarella incomincerà ad indagare sino a quando lo degraderanno e radieranno con l’ignominia dall’Aeronautica falsificando le firme del presidente della Repubblica Sandro Pertini e del ministro delle Difesa Giovanni Spadolini. La tragedia di Ustica inizia a puzzare, dalla Francia alla Libia, passando per l’Inghilterra, gli Usa e financo la Russia.
Nel 1986 il maresciallo verrà trasferito in missione per sei mesi alla base aerea di Roquebrune-Cap Martin, in Costa Azzurra. La sede operativa è Monte Agel, dove si trova un radar. Dettori è appena quarantenne, in buona salute, ma inizia ad accusare cefalee, vertigini e mal di denti. Per di più è impaurito e teme di essere pedinato. Quando torna in Italia Dettori è un altro uomo, come se avesse subìto il lavaggio del cervello. Ha paura, smonta il telefono e vede spie dappertutto. Alcuni mesi dopo spunta in casa un certo Roland, un sottufficiale francese, collega del maresciallo.
L’uomo rimane ospite dai Dettori per quattro giorni. Pare che il militare fosse una spia francese e che avesse a che fare direttamente con il suo decesso. La Francia, interpellata più volte sull’argomento non ha mai dato spiegazioni. Poi la tragedia, annunciata. Mario Alberto Dettori verrà ritrovato cadavere, impiccato ad un albero vicino le rive dell’Ombrone. E’ la mattina del 31 marzo 1987 e il sottufficiale usciva di casa alle 8.15 per accompagnare a scuola il figlio per poi prendere l’acqua in un fontanile
Alberto è tranquillo. Le ore passano e lui non ritorna a casa. Un’amica di famiglia ritroverà il suo furgone a Poggio La Mozza e, a pochi metri, il corpo senza vita dell’uomo. Non verrà effettuato nessun rilievo, men che meno repertato alcun indizio. Niente indagini. Dopo Dettori moriranno in circostanze strane o verranno suicidate una decina di persone. Capitolo chiuso.