Aveva bisogno di un Tso, ma nessuno l’ha fermato

Il presunto assassino doveva essere ricoverato in psichiatria ma per una serie di circostanze avverse era rimasto in circolazione minacciando i propri congiunti e danneggiando il condominio dove viveva. La mamma della vittima denuncia presunte inefficienze con le quali il cittadino si scontra quotidianamente. I servizi pubblici implodono e a farne le spese è la collettività che non sa più a quale santo votarsi. Due famiglie distrutte.

Genova – Una tragedia annunciata quella della morte di Alice Scagni, 34 anni, ex ballerina di danza classica e campionessa di sci, morta ammazzata sotto casa, in via Fabrizi, nel quartiere Quinto al Mare di Genova. A ucciderla il fratello Alberto, 41 anni, disoccupato. La donna lascia vedovo il marito Gianluca Calzona, 35 anni, sposato nel 2018, e orfano un bimbo di due anni. I rapporti tra fratello e sorella erano tesi da tempo. Il giovane pare avesse problemi psicologici, acuiti dalla perdita del lavoro come segretario di uno studio legale.

Alice Scagni

Da diversi mesi l’uomo avrebbe abusato di alcol e droghe e la mancanza di denaro lo costringeva a chiedere soldi alla famiglia, in particolare alla sorella che pare abbia sempre risposto alle sue richieste. Quando per vari motivi sia i genitori che la donna tentavano di farlo ragionare Alberto andava su tutte le furie arrivando persino a minacciare i suoi congiunti.

Erano da poco passate le 21 del primo maggio scorso quando Alice si trovava in strada con il suo cane, un bracco Weimaraner, per la solita passeggiata serale. Da dietro uno scooter sbucava all’improvviso Alberto che aggrediva verbalmente la sorella con parolacce e insulti. Subito dopo nelle sue mani spuntava un coltello con il quale colpiva Alice alle spalle, per ben 17 volte. Colpi netti e precisi che ferivano la vittima in diversi punti vitali. Mentre la donna stramazzava sull’asfalto in un lago di sangue Alberto si dava alla fuga.

La vittima in via Nicola Fabrizi subito dopo l’omicidio

Dalla finestra di casa aveva visto la scena raccapricciante il marito della donna che, preoccupato per la vita del figlioletto, era sceso in strada ormai troppo tardi. I congiunti della povera Alice e i vicini di casa, inorriditi nel vedere il corpo insanguinato di quella brava ragazza, solare e generosa, chiedevano aiuto al 118 e alla polizia.

Alice respirava ancora ma spirava durante il trasporto in ospedale nonostante i ripetuti tentativi di rianimazione dei sanitari. Il fratello della vittima, a circa un chilometro da via Fabrizi, veniva fermato dagli agenti della Squadra Mobile. Con i vestiti sporchi di sangue e con il coltello ancora in mano ammetteva, a caldo, le proprie responsabilità:”…Sono stato io – avrebbe detto l’uomo – la mia famiglia non mi dava più soldi, non potevo più vivere in quel modo…”.

Alberto Scagni, dopo le incombenze di rito, veniva trasferito in carcere. L’indagato per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione si avvaleva della facoltà di non rispondere durante l’interrogatorio svoltosi alla presenza del Gip Paola Faggione, della Pm Paola Crispo e dei legali difensori Maurizio Mascia ed Elena Brigandi.

Alberto Scagni

Questi ultimi pare non intendano chiedere una perizia psichiatrica che, comunque, può essere sempre chiesta dalla Procura. Alberto Scagni dava problemi, come pare, anche nel suo quartiere di Sampierdarena dove l’uomo avrebbe danneggiato alcune porte blindate con una mazza e bloccato i citofoni con uno stuzzicadenti per farli suonare in piena notte.

Insomma dispetti su dispetti che avevano costretto i condomini a protestare. Un giorno prima dell’omicidio qualcuno aveva appiccato il fuoco alla porta della nonna di Alberto, che abita nello stesso stabile. In molti accusano il presunto killer della sorella che ultimamente avrebbe perduto i numi della ragione:

Da sinistra Antonella Zarri, Alice Scagli e il padre. Un tempo una famiglia felice

”…Alberto aveva bisogno di un aiuto che noi non riuscivamo più a dare e quello che gli davamo ormai gli faceva solo male – afferma la madre Antonella Zarri con dolore e rabbia – aveva bisogno di un aiuto psichiatrico. Ma quando abbiamo chiamato l’igiene mentale ci hanno dato appuntamento dopo un mese…Le vite dei miei figli sono state buttate via per l’incuria e l’incapacità delle forze dell’ordine e del servizio di salute mentale. Mio figlio si poteva fermare prima e mia figlia sarebbe stata salvata. Negli ultimi quattro giorni c’è stata una escalation che ci ha fatto preoccupare. Abbiamo chiamato il 112 cinque volte ma nessuno è intervenuto. Ancora domenica a ora di pranzo mio figlio ci ha fatto due chiamate di minacce concitate e così abbiamo richiamato chiedendo aiuto. E ci è stato detto di fare denuncia lunedì e che non c’era una volante da mandare. Però domenica notte per non farmi vedere il corpo della mia piccolina c’erano 30 agenti che mi hanno tenuta lontana…”.

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