E le provocazioni non mancano: il presidente russo ha riconosciuto il Donbass e Kiev chiede sanzioni pesanti. Mario Draghi condanna e parla di inaccettabile violazione della sovranità
Roma – Vladimir Putin ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste del Donbass forzando l’impasse che si era originato nella crisi ucraina aprendo la strada a un conflitto con l’Occidente che non sappiamo ancora dove potrà arrivare.
Il 2022 si è aperto con gli Stati Uniti di Biden che denunciavano l’intenzione del Cremlino di invadere l’Ucraina per riportarla nell’ambito della sfera di influenza russa e con i paesi occidentali impegnati a mediare e a minacciare pesanti sanzioni economiche. Un tira e molla durato poco più di quaranta giorni, sino a quando Putin ha forzato la mano con una mossa repentina ma non certo inattesa.
L’esercito russo è appena entrato nelle Repubbliche autonome di Donetsk e di Lugansk, impegnato formalmente in una missione di pace per proteggere i due paesi dai “pericolosi estremisti ucraini” ma con intenzioni chiaramente diverse. E mentre tutti gridano alla violazione del diritto internazionale occorre svolgere un ragionamento più ampio per comprendere quali siano i veri motivi di questa intricata vicenda.
Ricordiamo infatti che l’Ucraina è sempre stata parte integrante dell’Impero zarista e poi di quello sovietico, diventando indipendente per la prima volta solo nel 1991 con lo scioglimento proprio dell’Unione Sovietica. Questo scioglimento è stato improvviso, assolutamente inaspettato, senza una cabina di regia pronta a gestire l’indipendenza delle quindici repubbliche sovietiche che sono diventate stati sovrani mantenendo gli stessi confini che avevano all’interno dell’URSS.
E così la Crimea, che storicamente ha sempre fatto parte della Russia – venne donata all’Ucraina solo nel 1954 da Nikita Kruscev nell’ambito di uno stato federale dove i confini tra Russia e Ucraina erano meramente amministrativi – si è ritrovata nei panni di una regione ucraina con una popolazione prevalentemente russa all’interno di uno stato con capitale non più Mosca ma Kiev. Lo stesso è accaduto per il Donbass, dove l’elemento etnico russo è sempre stato prevalente, creando una “instabilità geopolitica” che non poteva non avere serie ripercussioni durante gli anni successivi.
È mancata, a seguito della guerra fredda, una grande conferenza internazionale che “sistemasse” i confini delle ex Repubbliche sovietiche cercando di prevenire i conflitti a cui abbiamo assistito durante gli ultimi trent’anni, non solo in Ucraina ma anche in Georgia e nel Nagorno Karaback tra Azeri e Armeni. La Russia vuole sicurezza e l’Ucraina, storicamente nella sua sfera di influenza, ha svolto nel corso degli ultimi secoli la funzione di Stato cuscinetto proteggendola dai confini occidentali, un ruolo che sembra avere abdicato dopo avere manifestato la volontà di entrare nell’Unione Europea e nella NATO.
La reazione di Putin è stata la naturale conseguenza, serve quindi una grande conferenza internazionale che eviti e prevenga futuri conflitti nell’area ex sovietica. Dovranno essere fatte rinunce, alcuni Paesi dovranno sostenere sacrifici ma la pace e il benessere mondiale vengono prima di tutto.