Il sistema carcerario deve essere riformato senza ulteriori ritardi. Il rispetto dei detenuti, specie per quelli malati, deve essere la regola e non l'eccezione. La vicenda avrebbe potuto avere conseguenze irreparabili.
Torino – La riforma del sistema carcerario dovrebbe fare parte delle emergenze di questo Paese. Dall’edilizia penitenziaria al rispetto dei diritti dell’uomo, dalle condizioni di vita all’interno delle case di detenzione alle cure della malattie del detenuto, rappresentano argomenti ormai indifferibili ma se ne parla soltanto quando succede il solito grave fatto di cronaca.
Come quello di un giovane recluso lasciato in isolamento per mesi in condizioni disumane da lager nazista: nudo, con la luce accesa 24 ore su 24, privo persino di acqua corrente.
È quanto accaduto ad un ragazzo che chiameremo con il nome di comodo di Moreno che nel 2019 era stato condannato a due anni di reclusione per tentata rapina.
Dopo alcuni mesi di detenzione presso l’istituto penitenziario di Verbania, il giovane veniva trasferito a Torino, nel reparto di osservazione psichiatrica del Sestante, per riconosciuti problemi psichici (un disturbo borderline della personalità).
Nella nuova struttura però tali condizioni psichiche subiscono un peggioramento e Moreno tenta il suicidio.
In seguito a questo grave evento il giovane veniva isolato in una cella di osservazione del reparto psichiatrico che in gergo chiamano “la liscia”, ovvero la stanza numero 150. Un parallelepipedo di cemento all’interno del quale non c’è assolutamente nulla, tranne un materasso, una coperta e il bagno a vista, il cui scarico viene attivato dall’esterno. In pratica nulla che possa servire per ulteriori gesti autolesionistici.
Il ragazzo doveva rimanerci solo pochi giorni, invece Moreno è rimasto rinchiuso nella cella 150 per ben 10 mesi. Un’eternità rispetto a quanto previsto dai regolamenti.
Solo nel febbraio 2021 i genitori sono riusciti a riportare Moreno a casa, dove sta scontando ai domiciliari quanto rimane della pena, dopo una battaglia in tribunale fatta di istanze e perizie psichiatriche, alla quale ha partecipato anche il Garante dei detenuti.
Oggi che il peggio sembra passato, la famiglia racconta il calvario subito e lo fa con toni duri, che vorrebbero ricevere per lo meno una spiegazione riguardo al “trattamento” ricevuto:
“…Mio figlio è stato sottoposto ad un trattamento disumano – denuncia senza mezzi termini il padre del ragazzo – è stato denudato e abbandonato in una cella. Per calmarlo hanno dovuto imbottirlo di anti psicotici. A nulla è servito insistere sul fatto che avesse bisogno di psicoterapia e non di trattamenti farmacologici, che per altro come effetti collaterali portano a depressione e suicidio…”.
Una successiva perizia psichiatrica ha poi di fatto stabilito che il ragazzo sarebbe stato sottoposto ad un trattamento psicofarmacologico “esagerato” e “abnorme” che a nulla avrebbe portato se non al rischio non solo di aggravare e perpetuare la sintomatologia psichica e comportamentale, ma anche di ostacolare e compromettere le possibilità di recupero.
Moreno, durante il suo calvario, avrebbe riportato anche ustioni a causa delle condizioni terribili a cui è stato costretto: “…Si era rotta una finestra e non l’hanno mai riparata – aggiunge il padre del detenuto – così in pieno inverno e con solo una coperta addosso per scaldarsi, si è rannicchiato vicino al termosifone fino a bruciarsi…”.
Il racconto prosegue impietoso, con il tono di chi è determinato a raccontare tutto, perché storie come questa non possono e non devono passare sotto silenzio:
“…Per quattro giorni, poi, non gli hanno fornito acqua in bottiglia – conclude il genitore – e così quando dall’esterno attivavano lo scarico dei bagni, lui la raccoglieva prima che finisse negli escrementi. Lo hanno mortificato, insultato, umiliato…”.
Viene da domandarsi: perché Moreno è stato trattato cosi? Quali aguzzini si è trovato di fronte? Chi ha ordinato questo trattamento disumano? In quanti sapevano di questa turpe vicenda? Quanti altri detenuti hanno subito lo stesso servizio?
Emilia Rossi, membro del Collegio del Garante Nazionale dei Detenuti, ha seguito la vicenda e nel luglio del 2020, in seguito ad un’ispezione, ha dichiarato di aver “riscontrato il disagio di questo giovane. Sono anni che denunciamo l’inadeguatezza del Sestante e soprattutto della camera liscia”.
Dunque ci sarebbero dei precedenti al riguardo? La reputazione del luogo non sembra delle migliori. Che cosa è stato fatto per ovviare alla gravissima situazione?
Inoltre, in un rapporto del 2017, il Garante chiedeva espressamente l’abolizione della cella 150, riconoscendone le pessime condizioni igienico-sanitarie e anche “l’illegittimità dello stato di isolamento del detenuto” che per legge non può superare i 15 giorni.
Un “dettaglio” che è stato bellamente ignorato. C’è un responsabile in tutta questa assurda vicenda?
La storia di Moreno è ora un rapporto di Antigone, associazione che dagli anni Ottanta si occupa dei diritti all’interno del sistema carcerario, a cui la famiglia del ragazzo si è rivolta in cerca di aiuto.
Da quando è a casa il giovane sta meglio, raccontano i congiunti, ma quanto subito lo avrebbe segnato profondamente. Non è difficile da credere. Essere trattati come bestie segnerebbe in maniera perpetua chiunque. “È uscito distrutto dal carcere. Ancora adesso ha gli incubi per quello che ha subito”.
Una storia difficile da ascoltare, per la sua crudezza e disumanità. Una storia però che deve necessariamente catalizzare la nostra attenzione, per comprendere – come si legge nel rapporto – “quanta strada ancora c’è da fare per garantire diritti e protezione a chi vive all’interno delle carceri italiane”.
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