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Tassa sugli extraprofitti: misura di sostegno o aumento dei tassi scaricato sui risparmiatori?

A che gioco stanno giocando banche e compagnie assicurative con la questione degli extraprofitti? Tutte le ambivalenze della Banca Centrale Europea e della gincana italiana per recepirne le indicazioni.

Roma – Banche, sarebbe l’ora di allentare i cordoni della borsa. Nelle ultime settimane non si è fatto che parlare della tassa del 40% sugli extraprofitti delle banche e delle compagnie assicurative. Secondo il governo la tassa è una sorta di contributo di solidarietà per finanziare una parte delle misure a sostegno delle famiglie italiane, ma il discorso resta complesso.

Tassa sugli extraprofitti, chi la paga realmente?

Gli extraprofitti delle banche sono la differenza tra interessi attivi (incassati come guadagno su prestiti e mutui concessi) e passivi (versati alla clientela per i conti correnti o conti deposito). La tassa è stata approvata lo scorso 8 agosto nel quadro del decreto Omnibus investimenti e attività economiche”. Si tratta di un’imposta straordinaria a carico degli intermediari finanziari, a eccezione dei fondi comuni d’investimento e le società di intermediazione mobiliare.

“Il Sole 24 ore”, il giornale di Confindustria, ha pubblicato un’analisi da cui emerge che nel primo semestre del 2023 le sei principali banche italiane (Intesa San Paolo, Unicredit, Mediobanca, Banco Banca Popolare Milano, Banca Popolare Emilia-Romagna e Monte Paschi di Siena) hanno ricavato profitti più elevati del 60% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Questa crescita è dovuta all’aumento dei tassi d’interesse sui mutui e prestiti da parte della Banca Centrale Europea (BCE) per arginare l’inflazione.

Secondo gli esperti, quando la BCE attua questa politica, il costo del denaro cresce e le persone iniziano a spendere meno, ma a risparmiare di più. Così, la domanda di beni e servizi diminuisce, la produzione rallenta e l’economia tende a raffreddarsi. La reazione delle banche è stata di aumentare i tassi d’interesse ai clienti, sui mutui a tasso variabile e su quelli nuovi. Lo stesso non è successo per i conti corrente e i depositi. Esosi se si chiede un prestito, ma col freno a mano tirato se si depositano soldi. D’altronde, è nella natura stessa delle banche, altrimenti non sarebbero tali. Ecco da dove sono nati gli “extraprofitti”!

Parte del ricavato, secondo il governo, sarà destinato a coloro che avevano sottoscritto un tasso variabile e adesso sono in affanno. Il comportamento delle nostre banche dimostra che hanno scaricato l’aumento dei tassi sui clienti. Non è la prima volta che agiscono in questo modo. In un recente passato, lo scandalo dei derivati portò al fallimento di molti istituti di credito, con tanti piccoli risparmiatori finiti sul lastrico e con la Banca d’Italia che, invece di controllare, voltava lo sguardo da un’altra parte.

Si sostiene che questa tassa sia giustificata dal fatto che la crescita dei profitti non è stata dovuta alle capacità del management sul mercato, ma ad un fattore esterno (l’aumento dei tassi della BCE). Come è successo alle aziende energetiche, che hanno registrato profitti elevati dall’inizio della guerra in Ucraina e, quindi, sono state tassate.

Altri economisti sostengono che questi profitti saranno di non lunga durata. Nel lungo periodo alti tassi provocano un calo della redditività del sistema bancario, in quanto rallentano l’economia in generale. Con interessi alti, le richieste di mutuo e/o prestiti saranno sempre di meno e le banche, alla fine, vedranno ridurre la loro ricchezza. Quello che fa specie è che su una tassa straordinaria, per così dire una tantum, si è scatenato un finimondo.

La BCE pare abbia spedito una lettera al governo italiano, consigliando di soprassedere, perché la ritengono una tassa inopportuna. All’interno delle maggioranza, soprattutto Forza Italia, se ne chiede la modifica. Evidentemente il lavoro di lobbying dei grandi gruppi bancari sulla politica qualche effetto lo sta ottenendo, quanto meno nello sparigliare le carte.

Stride, inoltre, questa sorta di intoccabilità della grande finanza che, consapevole dell’importanza del vil denaro, senza cui “non si cantano messe” come recita un adagio popolare, ritiene di poter fare ciò che più le aggrada, e non cosa possa essere più funzionale alla collettività.

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