Stipendi d’oro: prendere o lasciare?

Mentre il Paese è oppresso da scadenze imminenti, povertà e aziende che chiudono, l’attenzione della politica si focalizza sugli stipendi di lusso. C’è chi vuole il tetto e chi no. E’ già una vergogna parlarne in un momento in cui migliaia di famiglie hanno problemi di sopravvivenza.

Roma – Grande bagarre in parlamento e nei relativi uffici ministeriali per il tetto agli emolumenti dei manager pubblici. Così tutti sono alla ricerca di chi con un tratto di penna ha cercato di intorbidire le insalubri acque della politica. Ci vorrebbe l’aiuto degli “007” e dei servizi segreti per scoprire il o i colpevoli. Dopo ore convulse e polemiche infinite, il governo Draghi ha, però, deciso di intervenire con la “cesoia” ed ha presentato un emendamento che sopprime l’articolo 41 bis del decreto Aiuti bis, quello sulla deroga al tetto degli stipendi dei dirigenti della pubblica amministrazione. Politica e stipendi il solito problema.

L’articolo 41 bis stabiliva una deroga al tetto di 240 mila euro per gli stipendi dei vertici delle Forze armate, delle Forze dell’ordine, dei capi dipartimento e dei segretari generali dei ministeri e della Presidenza del Consiglio. Ora, con la presentazione dell’emendamento, l’esecutivo intende puntare a reintrodurre la misura fissata in primo momento nel 2011 col decreto Salva-Italia e poi rivista all’epoca del governo presieduto da Matteo Renzi nel 2014. Proprio la genesi dell’articolo 41 bis ha spaccato il Parlamento, provocando quella che è filtrata come una “reazione irritata” di Mario Draghi. Il Partito Democratico ha parlato di un emendamento, di Forza Italia riformulato dal Mef, come tutti gli emendamenti votati con parere favorevole.

Dal partito di Berlusconi la reazione non si è fatta attendere, così l’accusa, manco a dirlo, è respinta con determinazione. D’altronde essendo in campagna elettorale è facile che i leader politici strumentalizzino ogni cosa, attribuendo la responsabilità all’avversario di turno, mentre l’interesse ad indagare dovrebbe andare in ben altri indirizzi ed in particolare verso gli estensori ed i diretti interessati alla diminuzione del compenso. Povera Italia e poveri noi. La situazione appare veramente “comica” se non fosse paradossale, perché nel decreto Aiuti bis, che prova a tendere una mano proprio alle famiglie e alle imprese in difficoltà, con 17 miliardi di sostegni, è inserito anche un emendamento che stoppa la deroga che avrebbe consentito agli alti dirigenti dei ministeri di superare i 240 mila euro di stipendio.

Mario Draghi

Viene definito semplicisticamente un errore, salvo scaricare le responsabilità sul governo e, in particolare, sul ministero dell’Economia, reo di avere presentato all’ultimo la norma incriminata attraverso una riformulazione. Insomma la manina colpisce ancora con “incauta” destrezza. In ogni caso, immergendoci nuovamente nella bufera elettorale, la vittoria del centrodestra appare, almeno fino a questo momento, più che probabile. Gli scenari possibili sono comunque tanti. Alcuni osservatori prevedono all’ultimo momento il passaggio sul carro del vincitore, con un forte afflusso, alla fine della campagna elettorale, verso il partito della Meloni, specialmente al Sud dove si prevede anche una forte presenza del M5s. È un evento possibile, specialmente se, come ha auspicato Letta, il clima della competizione si fa decisamente bipolare.

Ce la farà davvero?

Il segretario del Pd ha insistito infatti, ancora di più negli ultimi giorni, sullo scontro tra due fronti. Invoca il voto per sé “a difesa della democrazia”, come si è visto anche dai manifesti utilizzati per la comunicazione. Si tratta però di una strategia che non pare abbia molto funzionato. Ormai manca poco. Ancora qualche giorno e poi, finalmente, si voterà. Ma proprio ora comincia il periodo decisivo, quello in cui tanti elettori maturano la scelta di voto finale. Gli stipendi sono sicuramente un problema annoso per la politica e certamente alcuni elettori, non pochi, decideranno solo il giorno prima. A quanto pare il 51% degli elettori, pur indicando una preferenza, si dichiara in realtà ancora indeciso tra due o più forze politiche. Vedremo.

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