Lo scenario inquietante di imprese vicine alla mafia calabrese i cui titolari, per accaparrarsi illegalmente appalti, subappalti e servizi ricorrevano a minacce, intimidazioni ed altre tipologie di violenze nei riguardi di aziende concorrenti costrette a soccombere.
Saronno – Le indagini erano state avviate dopo che la notte del 13 settembre 2017 si era verificato un incendio doloso che aveva danneggiato, rendendole inutilizzabili, sei autovetture di servizio di proprietà dell’Amministrazione comunale di Saronno.
Le attività investigative, immediatamente avviate dai carabinieri, pur non riuscendo a individuare i responsabili, hanno però permesso di far luce su un inquietante scenario afferente imposizioni messe in atto, anche con il ricorso ad esplicite minacce e atti di forte violenza.
Comportamenti posti in essere da parte di soggetti con cointeressenze economiche e stabilmente inseriti nel tessuto imprenditoriale della zona compresa tra i territori dei comuni di Saronno, Cislago e Gerenzano, alcuni di loro originari della provincia di Reggio Calabria, con legami con esponenti di famiglie di ‘ndrangheta egemoni sul versante tirrenico dell’estrema provincia calabrese.
Secondo l’impostazione accusatoria, che dovrà essere vagliata nel processo, diversi sono gli episodi delittuosi, tutti caratterizzati da una metodologia propriamente mafiosa, messi in atto dagli indagati i quali, noti nell’ambiente del settore lavorativo d’appartenenza per le loro radici calabresi e i collegamenti con sodalizi ‘ndranghetistici, facendo esplicitamente leva sulla forza intimidatrice e stato di soggezione verso le vittime derivanti dal vincolo associativo, sono riusciti ad estromettere dal mercato imprese concorrenti a favore di altre a loro riconducibili.
Facendo in modo di accaparrarsi illegalmente appalti e incarichi di servizi ovvero imponendo proprie opere in subappalto a imprese aggiudicatarie di importanti lavori nel settore dell’edilizia e del movimento terra.
Per raggiungere i propri scopi i sodali non avevano remore a ricorrere a vere e proprie aggressioni come nel mese di gennaio 2019 quando gli inquirenti documentano un pestaggio ai danni del titolare di un’impresa concorrente, contestualmente minacciando il committente dì gravi danni ai mezzi dell’impresa qualora non fosse stata quella da loro individuata ad accaparrarsi i lavori: “…Attento che non ti salta per aria quella betopompa la, che prende. fuoco” … ” prende fuoco che non ci vuole niente che prende fuoco sotto l’impianto…” e ancora “…Ti brucia la pompa e l’impianto, porco cane…”.
Sempre a livello indiziario analoghe dinamiche sono emerse essere state attuate nel corso delle aste giudiziarie per la vendita di immobili disposte dal Tribunale di Busto Arsizio. Le suddette procedute, che riguardavano anche immobili pignorati ad appartenenti al medesimo gruppo di cointeressenze criminali, puntualmente subivano interferenze da parte di alcuni degli indagati che non esitavano, attraverso espliciti avvertimenti minatori, messi in atto anche spavaldamente, a far desistere dai loro propositi i vari offerenti.
In sede di sopralluogo sugli immobili oggetto di vendita da parte dei potenziali acquirenti, questi si ritrovavano spesso circondati da soggetti ostili che, con atteggiamento intimidatorio e spesso suggestionandoli rivolgendosi a loro con spiccato accento calabrese, riportavano i gravi fatti giudiziari in cui i vecchi proprietari dell’immobile in vendita erano coinvolti fino a farli desistere dall’acquisto.
Non sono stati esenti da atti intimidatori ed estorsivi altri imprenditori del territorio. Al riguardo, sempre a livello investigativo e col beneficio del vaglio processuale, è emersa l’illecita pretesa avanzata ai danni dei titolari di una ditta del settore del commercio di autovetture di Cislago, dai quali gli indagati si sono fatti consegnare una somma di oltre 60 mila euro a fronte di un credito inesistente e creato ad arte.
Gli indagati ricorrevano anche in tali circostanze a violenza e minacce, non solo con incursioni all’interno della sede della società minacciando i presentì e danneggiando gli arredi, ma anche con l’utilizzo di armi da fuoco, puntando, in un’occasione, una pistola alla nuca della vittima che cercava di resistere alle ormai più insostenibili richieste di danaro.