Le forze serbe si macchiarono di una vera e proprio pulizia etnica che raggiunse il suo apice nel mese di Luglio del 1995 quando più di ottomila musulmani furono trucidati nella città di Srebrenica dalle milizie di Ratko Mladic e poi seppelliti in fosse comuni.
Sarajevo – In pochi lo ricordano ma venticinque anni fa, fra l’1 Novembre e il 14 dicembre 1995, venivano firmati nella base aerea Usaf Wright-Patterson nell’Ohio, gli accordi di Dayton, conosciuti anche come Protocollo di Parigi, che ponevano fine, dopo sofferenze e crimini indicibili, alla guerra nella ex Jugoslavia.
Un conflitto tremendo che aveva visto la città di Sarajevo assediata per trentasei lunghi mesi dalle forze serbe guidate dal generale Ratko Mladic, poi condannato all’ergastolo dal Tribunale Penale dell’Aja per il crimine di genocidio. La vicenda bellica ebbe inizio nel 1991 quando Slovenia e Croazia dichiaravano la loro indipendenza dal governo centrale di Belgrado ma soprattutto quando a dichiarare la sua indipendenza fu la Bosnia-Erzegovina.
La Bosnia era infatti uno stato multietnico dove coabitavano bosniaco-musulmani, serbi-cristiano ortodossi, croati-cattolici. La minoranza serba rivendicava il suo diritto a riunirsi con Belgrado e ugualmente fece la minoranza croata con Zagabria. Nacque così la Repubblica serba di Bosnia (e pure un’enclave autonoma croata) che, guidata dall’ex psichiatra Radovan Karadzic, aveva assediato Sarajevo con l’obiettivo di ottenere la capitolazione dei musulmano-bosniaci.
Furono scritte pagine di storia tremende dove le forze serbe si macchiarono di una vera e proprio pulizia etnica che raggiunse il suo apice nel mese di Luglio del 1995 quando più di ottomila musulmani furono trucidati nella città di Srebrenica dalle milizie di Ratko Mladic e poi seppelliti in fosse comuni.
A questo punto, sotto l’egida dell’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, bosniaci, serbi e croati si riunirono davanti allo stesso tavolo nella città americana di Dayton e raggiunsero un accordo che venne formalmente sottoscritto il 14 Dicembre dello stesso anno a Parigi. La Bosnia Erzegovina continuava ad essere uno stato sovrano ma si trasformava in una federazione costituita da una repubblica serba e da una federazione musulmano-croata. La presidenza invece era costituita da un organo collegiale composto da un musulmano, da un serbo e da un croato che a turni di otto mesi ciascuno avrebbero occupato la carica di presidente (una sorta di “primus inter pares”).
Nasceva così la prima democrazia etnica della storia che metteva fine alla guerra ma non portava ad una vera pace. Durante gli ultimi venticinque anni il paese è stato infatti dominato dai partiti nazionalisti che hanno fomentato le divisioni interne, con i serbi della repubblica autonoma che in più occasioni manifestavano la volontà di riunirsi alla “madrepatria“.
La Bosnia era una polveriera sempre pronta ad esplodere e a minacciare ancora la pace europea. Ma qualcosa sembra essere cambiato dopo le ultime elezioni amministrative del 15 Novembre scorso, dopo le quali il comune di Sarajevo è stato conquistato da un’alleanza di partiti (cd. coalizione dei quattro) non settari e soprattutto plurinazionali che hanno scelto come sindaco il serbo Bogic Bocigevic.
E l’elezione di un sindaco serbo-ortodosso da parte di una maggioranza musulmana lascia ben sperare per il futuro. La sconfitta del nazionalismo sembra aprire una nuova fase per tutto il paese, dove finalmente razza e religione non saranno più così importanti e le forze politiche avranno come unico obiettivo il benessere dei cittadini rinunciando ad anacronistiche rivendicazioni etniche.
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