Pericolo imminente di disordini sociali e tensioni geopolitiche a seguito dei danni causati dalla pandemia. Sono situazioni urgentissime a cui la politica deve porre rimedio ma il grido di dolore rimane strozzato nella gola degli ultimi.
Roma – Non ci si riferisce al famoso film del 1984 di Massimo Troisi e Roberto Benigni ma alle amare lagrime che vengono giù copiose dopo aver letto il rapporto del World Economic Forum sui “rischi globali”.
Il Forum è una fondazione svizzera senza fini di lucro che organizza ogni anno a Davos un incontro tra esponenti di primo piano della politica, dell’economia con intellettuali e giornalisti selezionati per discutere delle questioni più urgenti.
Dal rapporto è emerso che la pandemia ha reso palesi problemi già in essere, da cui potrebbero nascere ulteriori crisi. Si è messo in moto un meccanismo difficile da arginare sia nel breve che nel lungo periodo di tempo.
“…Il costo umano, economico e sociale del coronavirus ha rallentato i tentativi di riduzione della povertà e delle disuguaglianze, indebolendo la coesione sociale e la cooperazione. La perdita di posti di lavoro, il digital-divide, l’interruzione della socialità, i mutamenti repentini del mercato del lavoro sono fattori forieri di forti disagi sociali. Da cui scaturiranno disordini sociali e tensioni geopolitiche…”.
Le scelte dei Governi e di chi detiene i cordoni della borsa e della finanza saranno decisive per cercare di arginare i previsti effetti disastrosi. Per l’economia i problemi riguardano i prezzi instabili, shock delle materie prime e geo-politicizzazione delle risorse.
La minaccia riguarda anche la stagnazione economica, disoccupazione, disuguaglianza sociale e crisi dei mezzi di sussistenza. Nel primo periodo della pandemia, infatti, sono andate perdute a livello mondiale ore lavorative pari a 495 milioni di posti di lavoro.
I rischi che corrono le aziende e l’industria sono causati dalla stagnazione nelle economie avanzate, riduzione dello sviluppo dei mercati nei paesi in via di sviluppo e crollo delle piccole imprese. “…Si è assistito ad un’accelerazione dell’uso delle tecnologie e della rete. Questi cambiamenti in atto, da un lato, portano benefici, telelavoro e sviluppo dei vaccini ma rischiano anche di essere forieri di forti disuguaglianze…”.
Il digital divide è, infatti, un dato di fatto. Ne scaturiscono esclusione sociale e scarso sviluppo, che esacerberanno le lacune su competenze tecnologiche. A pagarne le spese saranno le giovani generazioni, private di percorsi adeguati. Il problema urgentissimo della lotta al cambiamento climatico – a cui dovrebbero dedicarsi con buona lena tutti i governi mondiali – potrebbe essere inutile per le tensioni tra le grandi potenze.
Ora non ci voleva la zingara per indovinare, come recita un’antica canzone napoletana del 1906: “comme facette mammeta”. Cioè non c’è bisogno di virtù predittive per comprendere la realtà, basta essere in possesso di semplici strumenti analitici.
Non si vuole, in questo modo, sminuire il lavoro intellettuale e lo studio di una gran mole di dati statistici ed econometrici. Ma per la maggior parte dei comuni mortali sembra la scoperta dell’acqua calda. La situazione illustrata dal Forum ed i suoi nefasti effetti sono percepiti sulla pelle di tanti cittadini.
Quelli che si alzano all’alba per un tozzo di pane e quelli a cui quel tozzo di pane è stato sottratto per la chiusura di tante imprese. La domanda rimane una sola: “…C’è una politica non solo nazione ma planetaria all’altezza dell’arduo compito che la crisi dovuta alla pandemia le ha affidato e, soprattutto, dotata di un Progetto serio e responsabile di lungo periodo?…”
Lo spettacolo ripugnante dello squallido teatrino degli ultimi giorni con la crisi di governo è di infimo livello, non lascia molte speranze. Sono numerosi i nani e ballerini per ricordare una locuzione utilizzata dal lessico giornalistico e politico degli anni ’80 del secolo scorso per alludere al clima culturale gaudente e cortigiano della classe dirigente. Ed i grandi attori, i leader politici dove sono? Campa cavallo. Non ci resta che piangere.
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