La parola chiave è “tempestività”. Se si agisce celermente, ai primi sintomi, dal Covid si può guarire, senza finire in ospedale. E con meno spese per i contribuenti.
La parola chiave è “tempestività”. Se si agisce celermente, ai primi sintomi, dal Covid si può guarire, senza finire in ospedale.
A dirlo non è il santone del paese ma i medici del Comitato Terapia Domiciliare Covid e non si tratta certo di ciarlatani. Parliamo di nomi conosciuti quali Andrea Mangiagalli (medico generale specialista in microchirurgia e chirurgia generale, che attesta di non aver avuto nemmeno un decesso tra i propri pazienti), Luigi Cavanna (direttore del dipartimento oncologia-ematologia presso l’Azienda USL di Piacenza), Fabrizio Salvucci (cardiologo), Riccardo Szusmki (medico chirurgo), Andrea Stramezzi (medico odontoiatra e ortodontista), Serafino Fazio (medico chirurgo). E altri ancora.
Creatore del Comitato è l’avvocato Erich Grimaldi che già nei primi mesi della pandemia ha raccolto le esperienze dei medici sul territorio nazionale per mezzo di una pagina Facebook, in modo da condividere fatti e opinioni e cercare in questo modo di salvare il maggior numero possibile di vite.
Nonostante fin dall’inizio della pandemia fosse vietato recarsi dai propri pazienti, sono stati molti i medici che hanno ignorato l’ordinanza applicando terapie differenti da quelle indicate nel protocollo. Gruppi come Medici in prima linea e Ippocrate.org, nascono proprio allo scopo di confrontare le esperienze dei vari professionisti per avere più informazioni possibili.
Oggi sono sempre di più i dottori “ribelli” che svolgono con onore la propria professione infischiandosene dei protocolli fallimentari approvati da un Governo altrettanto fallimentare.
Attualmente sappiamo certamente molto di più sul virus rispetto a un anno fa ma “…A marzo tutti rimanevano a casa con la tachipirina e in attesa di un eventuale peggioramento – spiega Grimaldi – in seguito siamo riusciti a scoprire che molti medici inizialmente non utilizzavano solo tachipirina ma anche l’idrossiclorochina e l’azitromicina e, successivamente, in caso di tromboembolia, l’eparina. Solo successivamente l’idrossiclorochina è stata proibita dall’AIFA…”.
Poi, ad ottobre, è arrivata la seconda ondata e l’Italia si è fatta trovare impreparata, dal momento che “in estate non è stato predisposto alcun aggiornamento dei Medici di Medicina Generale (MMG)”. Grimaldi spiega che in molte città i medici non sapevano dell’esistenza delle piattaforme, né quali fossero le terapie da adottare. E purtroppo è così ancora oggi, nei primi mesi del 2021 “…C’è chi non sa come curare i malati di Covid. Per questo è fondamentale la condivisione…”.
Tra i sostenitori dell’iniziativa di Grimaldi nel fondare il Comitato di Terapia Domiciliare ci sono anche gli americani Harvey Risch, della Yale School of Public Health, e Peter McCullough, del Baylor University Medical Center di Dallas; a loro si uniscono i brasiliani Sylvio Provenzano e Flavio Antonio De Sà Ribeiro. All’estero sono in molti a parlare del Comitato italiano che cura il Covid a domicilio.
Una straordinaria vittoria di Grimaldi è sicuramente stata la sentenza del Consiglio di Stato che ha riammesso l’uso dell’idrossiclorochina nel trattamento dei malati di coronavirus, a cui è seguita la battaglia per ottenere il via sugli anticorpi monoclonali.
“…Se mancano le USCA, di conseguenza manca il raccordo con il medico di medicina generale…” spiega l’avvocato “…in questo modo tanti pazienti rischiano di non essere visitati e di non reperire i farmaci, mentre sappiamo che è fondamentale per questa malattia la cura precoce…”. Sulla questione dei monoclonali invece Grimaldi vuole vederci chiaro: “…voglio capire se, effettivamente, erano state offerte 10mila dosi gratuite dallo stabilimento di Pomezia o se era solo una fandonia. Avrebbero potuto essere un’arma in più…”.
Intanto sono sempre di più le testimonianze delle persone guarite dal Covid grazie all’intervento tempestivo dei medici appartenenti al Comitato. Tra loro, anche persone che si sono sentite dire dal proprio medico di assumere tachipirina e di restare in “vigilante attesa”. Senza nemmeno essere stati visitati, in uno stato di abbandono totale.
“…Quando ti ammali sei solo…”, ha detto un parente di un deceduto a causa Covid, durante un’intervista. “…Chiami e non ti risponde nessuno…”. Un altro testimone, vittima della “vigilante attesa” raccomandata dal protocollo ufficiale dice: “…non posso dire che così abbiano ucciso mio padre, ma di certo non hanno fatto niente per salvarlo…”.
Chi si è rivolto a persone come Stramezzi, Mangiagalli e Cavanna, oggi attesta convinto che “se non fosse stato per loro, non sarei qui”.
Visitati da questi dottori (che si recano personalmente al domicilio del paziente) sono stati curati con successo. Lo schema terapeutico differisce da quello approvato dal Ministero della Salute, ma si rivela essere molto più efficace: nella cosiddetta Fase Zero della malattia si prescrivono integratori, isolamento, un’alimentazione adeguata e una corretta idratazione, senza alcuna somministrazione di farmaci. Nella Fase 1 la terapia è invece farmacologica: idrossiclorochina, antinfiammatori, azitromicina e amoxicillina sono i farmaci suggeriti, con l’aggiunta di eparina per chi soffre di ipertensione. Nella Fase 2 si va ad aggiungere cortisone dal quarto giorno di cure, se il paziente peggiora, con eparina in caso di necessità.
Anche il direttore dell’Istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi, segue questa stessa linea nella cura del Covid, sottolineando l’importanza di agire con tempestività e senza aspettare l’esito del tampone. Con Fredy Suter, primario del reparto Malattie Infettive dell’ospedale di Bergamo, ha chiarito le modalità necessarie per trattare correttamente il virus a domicilio.
Remuzzi ha subito chiarito che un paziente affetto da febbre alta non può attendere l’esito del tampone per iniziare un adeguato trattamento farmacologico, perché “…Si potrebbe essere già in una fase iper-infiammatoria, e allora magari il malanno evolve negativamente. Noi invece proponiamo, quando si sentono i primissimi sintomi, di non fare la solita trafila, ovvero chiamare il dottore che magari non viene subito o magari non viene proprio, a giudicare da tante testimonianze, poi prendere la tachipirina mentre si aspetta il test, e poi aspettare altri giorni per i risultati. Ciò che raccomandiamo, invece, è di prendere vantaggio sul virus non appena si può…“.
È proprio nella prima fase, spiegano Remuzzi e Suter, che occorre agire. I casi più gravi infatti sono quelli in cui si sviluppa la sindrome respiratoria acuta, quando il patogeno raggiunge gli alveoli polmonari. Ma per arrivare a questo punto devono passare dei giorni senza alcun tipo di cura mirata, mentre attaccando immediatamente il virus con l’ausilio di antinfiammatori chiamati “inibitori della ciclo-ossigenasi 2” (COX-2-inibitori) come il Celecobix, si abbattono considerevolmente le possibilità che il virus possa aggravarsi.
Ed è qui che sorge spontanea una domanda: se con questi trattamenti i malati guariscono, perché il protocollo ancora oggi comanda di rimanere a casa, sostanzialmente senza assumere nulla se non tachipirina che, a quanto pare, non serve a nulla e in alcuni casi – secondo vari medici – può addirittura rivelarsi dannosa?
Tutto questa aggrava le condizioni del paziente o no? Significa giocare con la salute altrui. Perché? Eppure, lo scorso 24 aprile, sono stati molti i medici che hanno scritto al riconfermato ministro Speranza, raccomandando la linea di cura domiciliare tempestiva, ma l’appello è stato ignorato. Di nuovo ci domandiamo: perché?
L’avvocato Grimaldi lancia anche l’dea sulla distribuzione di un kit salvavita per ogni famiglia, contenente i medicinali utilizzati nelle cure del Comitato, comprensivo di un saturimetro: “…Questa battaglia va vinta a domicilio – dice l’avvocato – invece si è pensato solo di rafforzare gli ospedali, tralasciando la medicina del territorio…”. La battaglia di Grimaldi e di tutti questi medici è la dimostrazione che quandoal comando vi sono degli incapaciè spesso indispensabile infrangere le regole (se esse si rivelano assurde). Perché a volte la nostra coscienza resta l’unica cosa da seguire.
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