In un momento cosi delicato per il Paese riferire la verità su quanto accade sarebbe oltre che dignitoso anche estremamente utile per contenere il disagio della popolazione. Le bugie però hanno le gambe corte.
Roma – Diversi sono i racconti legati ai vari Dpcm, al numero dei contagi ed alle proposte inevase delle Regioni. Sono vere e proprie fanfaronate? Chissà. D’altronde i presidenti delle Regioni ci hanno abituati a due versioni sui provvedimenti che il premier ha emanato sino al 3 novembre scorso. Una prima esposizione interpretativa è quella di Conte e dei Ministri Boccia e Speranza che addossano la colpa dei ritardi nell’emanazione di un provvedimento agli accordi, più o meno proficui, con i governatori delle regioni.
Una seconda versione, invece, è quella esposta dai presidenti delle Regioni, non tutti per la verità, che rivendicano, di contro, la mancata collaborazione con il Premier Conte ed i suoi ministri addebitando ai Dpcm governativi ogni linea dura prevista nei provvedimenti. Insomma l’esatto contrario di quanto avveniva in precedenza, quando alcuni governatori adottavano misure più stringenti per proteggere il proprio territorio.
Adesso, invece, ognuno tende a defilarsi e lo scambio di colpe e responsabilità è all’ordine del giorno mentre la popolazione è sempre più afflitta da restrizioni e dalla mancata chiarezza delle norme. Peraltro il ruolo di vittima o se vogliamo di paziente tessitore, in politica, molto spesso rende molto in termini di consenso. La regola vale, però, solo se il giochetto non viene “sgamato”.
Così per evitare il ruolo di semplice comparsa diversi governatori, Fontana in testa, partono all’attacco affermando di non credere ai numeri emanati dal Governo centrale. Pensano infatti che i contagi siano più bassi o che le serrate siano state determinate da dati vecchi o da decisioni squisitamente politiche.
In buona sostanza tutti i Dpcm che si sono succeduti alla velocità delle luce contengono misure di contenimento, via via più restrittive, che tradiscono la drammatica situazione degli ospedali italiani. Situazione catastrofica che risente di scelte dissennate e di tagli miliardari alle strutture pubbliche centrali e, soprattutto, periferiche. A tutto vantaggio della sanità privata che, negli anni, complice una certa politica delle mazzette, ha fatto affari d’oro.
A causa di ulteriori ritardi legislativi e burocratici gli ospedali versano ancora in condizioni pre-pandemiche. Il commissario Domenico Arcuri ne sa qualcosa, mentre gli assessori regionali alla Sanità nicchiano e fanno finta di non sapere, voltando le spalle ai cittadini.
Il gioco del rimbalzo delle responsabilità, tra governo nazionale e regioni, avviene ormai da troppo tempo e non porta a nulla se non ad aumentare confusione, dubbi e incertezze. Il tempo passa e il Paese barcolla. La tragedia è iniziata quando il Governo aveva deciso di assumere le prime iniziative-tampone in considerazione dei numerosi dati che denunciavano una situazione allarmante. Così successivamente alla proclamazione dello stato di emergenza del 31 gennaio scorso si cominciava, con il parere degli esperti, a lavorare per fronteggiare il fenomeno sanitario.
Dopo il primo lockdown di primavera la virulenza del Covid sembrava placarsi (a detta anche di eminenti scienziati di orientamento bipartisan) inducendo la politica a grossi errori come quello di mollare gli ormeggi. Una volta aperte le porte milioni di italiani sono andati in vacanza lasciandosi alle spalle mascherine e disinfettanti.
La mancata osservanza del distanziamento fisico e delle altre norme salvavita hanno determinato (come accadde per le epidemie influenzali e come succede per il virus influenzale normalmente presente fra la popolazione specie in questo periodo) un nuovo aumento dei contagi e una virulenza maggiore del Covid-19 che si appresterebbe a toccare il suo picco massimo intorno al 20 novembre.
Fra numeri, somme, detrazioni, indici, algoritmi e dati farlocchi è difficile se non impossibile sapere come siamo messi. Dunque le discussioni non finiscono più e le battaglie fra Governo e presidenti di Regione si fanno e si faranno sempre più aspre specie nei prossimi giorni con migliaia e migliaia di italiani ridotti allo stremo delle forze.
Un esempio per tutti: se l’indagine sierologica, effettuata tra giugno e agosto sul territorio nazionale, parlava di circa 250mila persone positive al tampone, la ricerca condotta dalle autorità scientifiche ne stimava, invece, addirittura un milione e mezzo. La verità è che c’è una parte, attorno all’80%, di sommerso cioè di soggetti positivi al virus che non vengono rintracciati, i cosiddetti asintomatici che, in quanto tali, sono totalmente inconsapevoli di essere infetti dunque malati e potenzialmente pericolosi.
Questo è ovviamente un problema enorme che viene affrontato senza armi efficienti nella consapevolezza che questa categoria di persone, se non individuata per tempo con metodologie certe, possono comunque veicolare il virus diffondendolo nei confronti delle fasce della popolazione più deboli, più esposte a contrarre la malattia in maniera grave o gravissima.
Poi esistono gli interessi occulti, le menzogne dietro le forniture milionarie, le lobbie dei farmaci e dei vaccini, le mafie che fanno sempre più soldi e chi specula anche sui morti. Poi ci sono i dossier dell’Oms che spariscono e i libri di certi ministri che inneggiavano alla fine della pandemia e poi ritirati improvvisamente dalle librerie. Insomma la sporcizia aumenta di pari passo ai contagi ma se dovessimo soccombere, alla fine e sempre che questo virus non diventi un comune starnuto, vogliamo comunque la verità.
Il Bel Paese naviga in brutte acque. Acque tumultuose e scure ma se è vero come è vero che la salute dei cittadini è direttamente proporzionale alla salute dell’economia, siamo davvero al capolinea. Senza verità non ci può essere cooperazione. E, ci dispiace per il presidente Mattarella, non ci può essere coesione e unità di intenti. Se i primi bugiardi sono quelli che comandano.
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