150 anni fa i bersaglieri fecero breccia su Porta Pia. Poi è andata com'è andata. Oggi rimane ben poco di quella storica giornata da cui si originò, indirettamente, la Questione Romana. Che andrebbe riveduta e corretta
Roma – “O Roma, O Morte” dichiarava “ai quattro venti” Giuseppe Garibaldi il 19 Luglio 1862 a Marsala in Sicilia, durante un raduno delle camicie rosse. Il Regno d’ Italia era stato infatti proclamato nel Marzo 1861 ma Roma e tutto il Lazio restavano sotto il potere temporale del Papa che godeva della protezione di Napoleone III e del suo esercito.
I Garibaldini però non volevano arrendersi e solo un anno dopo si radunavano in Sicilia per tentare una nuova sortita: partire dalla Trinacria per raggiungere la “città eterna” e liberarla dal Papa e dai suoi accoliti. Furono però fermati sull‘Aspromonte dalle truppe italiane guidate dal generale Cialdini e il loro sogno terminò con molti rimpianti. Garibaldi non si arrese e cinque anni dopo tentò un altro “colpo di mano” ma le sue truppe vennero sconfitte ancora una volta a Mentana da quelle papaline e francesi, che si erano alleate per l’occasione.
Sino a quando Napoleone III proteggeva Pio IX l’ annessione di Roma al Regno d’ Italia rimaneva una chimera, al punto che nel 1865 la capitale venne spostata da Torino a Firenze ufficializzando la rinuncia del nostro governo alla città che fu di Cesare e di Augusto. L’occasione propizia arriverà tre anni dopo quando Napoleone veniva sconfitto e fatto prigioniero dai Prussiani durante la guerra prusso-francese che terminerà con la nascita dell’ impero tedesco guidato dal Kaiser Guglielmo I e dal Cancelliere Otto Von Bismark .
Al governo italiano non rimaneva altro che agire velocemente. Il Generale Raffaele Cadorna penetrava nel Lazio con le sue truppe e raggiungeva le porte di Roma intimando la resa al Pontefice. Pio IX decideva per una resistenza simbolica ed il 20 Settembre 1870, esattamente 150 anni fa, un colpo di cannone apriva la breccia di Porta Pia consentendo ai bersaglieri italiani di entrare nella città eterna. Alla fine i morti saranno complessivamente meno di sessanta ed i feriti circa duecento, ma Roma e il Lazio verranno annessi al Regno d’Italia.
Pio IX si considera un prigioniero politico e non riconoscerà mai lo Stato italiano che dal canto suo approva unilateralmente la legge delle “guarentigie” che garantiscono l’extraterritorialità del Vaticano e un appannaggio annuo al Pontefice. Cosi si apre la “Questione Romana” che verrà risolta solo nel 1929 con i Patti Lateranensi voluti da Benito Mussolini e da Papa Pio XI che da allora chiamerà il Duce “Uomo della Provvidenza“.
Ci sono voluti dunque quasi sessant’anni per sanare una ferita grave che inizialmente (almeno sino al Patto Gentiloni del 1913) costituiva un ostacolo per i cittadini italiani (in maggior parte cattolici) che desideravano votare e partecipare alle elezioni politiche. Pio IX infatti fece pubblicare la lettera della “Sacra Penitenzieria” conosciuta come “Non Expedit” (non conviene) con la quale invitava tutti i cattolici a “boicottare” il Regno d’ Italia e le elezioni per il rinnovo del suo Parlamento.
E proprio nell’ostracismo delle autorità ecclesiastiche va cercato uno dei motivi che impedirono la nascita, nella nostra penisola, di un partito liberale di massa durante l’800 e i primi anni del ‘900, poiché parte della borghesia continuava a guardare con sospetto ad una classe dirigente anticlericale ed invisa alle sfere vaticane. E questa “maledizione” sembra continuare ancora oggi, poiché tutti i politici che hanno cercato di creare un partito liberale moderno e maggioritario tra gli elettori hanno fallito nel loro progetto.
Ci sta provando oggi, ancora una volta, il giornalista romano Filippo Rossi con la “Buona Destra” ma non è detto che riesca. E ammesso che al neonato partito politico aderiscano soltanto autentici personaggi liberali e loro sodali. Ad ogni formazione politica che nasce, in democrazia, non si può fare altro che augurare ogni bene.