Potrebbe prendere piede l’ipotesi dell’omicidio. Troppi i dubbi sul gesto autolesionistico estremo: la posizione del cadavere, le numerose lesioni sparse per tutto il corpo, tracce di Dna appartenenenti ad un soggetto diverso dalla vittima e l’uso sospetto di quel cavo d’alimentazione da parte della ragazza in stato di ubriachezza. L’inchiesta non si ferma.
Terlizzi – Claudia De Chirico si è davvero suicidata? La famiglia si è opposta per la terza volta all’archiviazione e stavolta anche il Gip di Trani, Marina Chiddo, avrebbe avuto più di qualche dubbio tanto da rigettare la nuova richiesta di chiudere il fascicolo.
Dunque ancora nessuna certezza sull’impiccagione di Claudia tanto che il magistrato inquirente ha disposto un nuovo accertamento tecnico finalizzato a provare se una donna in condizioni di ebbrezza, e con una statura e corporatura come le sue, avrebbe potuto o meno annodarsi un cavetto elettrico di 90 centimetri, di quelli cablati con i carica-batterie per cellulari, intorno al collo.
Per poi legarlo alla balaustra del sottopasso ferroviario di via Mazzini, a Terlizzi in provincia di Bari, dove la ragazza di 22 anni è stata ritrovata cadavere il 22 dicembre del 2016. Claudia era stata ad Andria per partecipare ad un matrimonio di amici con il suo fidanzato convivente, Davide Falcetta di 33 anni.
Dopo la cerimonia nuziale, finita in serata, i due avrebbero iniziato a litigare per motivi di gelosia, secondo la versione resa dall’uomo, tanto che giunti all’interno dell’area di un distributore di carburante Claudia, ubriaca, avrebbe aperto la portiera dell’auto e si sarebbe gettata sull’asfalto. Intorno a mezzanotte i due sarebbero rientrati a casa e una telecamera privata avrebbe ripreso la coppia davanti alla porta d’ingresso.
Trascorsi alcuni istanti Claudia De Chirico sarebbe caduta per terra strattonata da qualcuno. Subito dopo la giovane sarebbe entrata in casa per poi riuscire con una borsetta ed il cellulare fra le mani agganciato al suo alimentatore. La telecamera stradale riprenderà la ragazza viva per l’ultima volta. All’alba la povera Claudia verrà ritrovata impiccata alla ringhiera del sottopasso, appesa al cavo del suo carica-batterie.
Ad avvalorare l’ipotesi del suicidio il referto del medico legale nominato dalla Procura che, a suo tempo, aveva effettuato l’autopsia. Per il professionista la giovane barista si sarebbe suicidata per impiccagione incompleta, utilizzando un cavo Usb trovatole stretto attorno al collo.
I genitori della vittima, Nino e Maria De Chirico, e il loro legale di fiducia, l’avvocato Bepi Maralfa, continuano a non credere alla possibilità di un gesto estremo. Un gesto di autolesionismo a cui la giovane avrebbe pensato più volte e che non avrebbe portato a compimento prima grazie all’intervento del suo fidanzato che si sarebbe adoperato per farla desistere.
L’uomo, difeso dall’avvocato Francesco Montingelli, è indagato per istigazione al suicidio ma ha sempre respinto con fermezza le accuse che gli sono state mosse. A breve verranno resi noti i particolari delle riprese video effettuate dalle telecamere di sorveglianza del distributore di carburante, la causa delle 36 lesioni riscontrate sul corpo della vittima nonché la traccia di un doppio Dna repertato sul cavo Usb. Uno dei due acidi nucleici è riconducibile a Claudia mentre l’altro non è stato ancora attribuito ad alcuno:
”… Per un motivo o per un altro la ricerca della verità è sempre molto faticosa – ha detto l’avvocato Bepi Maralfa – i ritardi, spesso, concorrono alla dispersione delle prove…”.
Poi ci sono anche i video delle telecamere dell’area ferroviaria che non sarebbero stati ancora verificati ma rimasti, come pare, nei supporti originari dunque non visionati per ricostruire le ultime ore della giovane barista pugliese. Ma c’è di più.
Il cavo Usb usato dalla vittima per strozzarsi pare fosse di lunghezza apparentemente incompatibile con la manovra suicidiaria ipotizzata ma compatibile con un intervento esterno che abbia quanto meno aiutato la vittima stringendole il cavo intorno al collo provocandone il soffocamento. Appare comunque strano che una persona in stato di ubriachezza, com’era la vittima al momento del decesso, possa aver fatto una manovra che richiedeva una notevole lucidità.
Ovvero utilizzare un cavo fine di 90 centimetri, annodarlo per bene e più volte dopo averlo stretto intorno al collo per poi lasciarsi andare nel vuoto rimanendo però in una posizione non completamente penzoloni ma accasciata sul suolo:”… La nostra bambina non si è uccisa – aggiunge il padre Nino – vogliamo la verità…”.