Continua la battaglia elettorale per le elezioni politiche del 25 settembre. Ovviamente i programmi dei partiti continuano ad essere esenti da contenuti concreti. La fa da padrona la caccia alle poltrone, quella si che è serrata e feroce.
Roma – Pur continuando il gioco a scacchi dei seggi è comunque partito lo scontro per le elezioni politiche dopo lo sterminio di potenziali candidati rimasti fuori per le scelte forzate di un sistema elettorale non riformato. Le modalità di voto, infatti, non sono state integrate con la riduzione dei parlamentari. Un perovvedimento, quest’ultimo votato con troppa leggerezza da un Parlamento che non ha avuto alcuna visione d’insieme. Oppure perchè a qualcuno interessava mettere in mano ai leader politici la possibilità di fare “piazza pulita” di deputati e senatori non abbastanza asserviti al “grande capo”. In ogni caso sia da una parte che dall’altra assistiamo alle solite promesse messe lì come si fa con il verme all’amo in attesa che le prede abbocchino.
Ma al di là dalle varie posizioni assunte, ci sono promesse che hanno un’alea di credibilità e altre che dovrebbero spiegarne la sostenibilità. Ogni leader cerca di lambire l’elettorato con proposte che farebbero arrossire persino Cetto La Qualunque. Tutti pronti a “spararla grossa” salvo avvisare lo spettatore-elettore del pericolo rappresentato dall’avversario di turno. Berlusconi ha spianato da tempo la strada con un milione di nuovi posti di lavoro, mentre Letta lo segue a ruota nelle promesse che molto spesso non sono di competenza del governo.
Nel frattempo Giorgia Meloni ha avviato un programma istituzionale che dovrebbe sovvertire completamente quanto fatto in precedenza da altri, anche se sostanzialmente consenziente con molti dossier del precedente esecutivo. Conte, dall’altro lato, con una inversione ad “U” spericolata ritorna sulle note del populismo a cercare di incantare le masse. Calenda ripiega, al contrario, sull’agenda Draghi, considerata la “panacea” di tutti i mali italiani.
Salvini, invece, continua a cavalcare le problematiche sull’immigrazione. L’ultima trovata, del segretario del Pd è quella di riconoscere la quindicesima mensilità a tutti i lavoratori dipendenti. Si deve ammettere che l’idea è senza dubbio d’effetto e certamente colpisce l’attenzione dei lavoratori subordinati, subito impegnati a ipotizzare come spendere questa ulteriore mensilità aggiuntiva.
Progetto certamente intrigante ma “peloso”. Sarebbe una soluzione immediata e tranchant all’intervenuto calo del potere di acquisto delle retribuzioni per l’aumento del costo della vita. Giusto principio, ben accolto dal grande popolo dei lavoratori dipendenti, peccato che simile proposta dovrà essere sopportata dalle aziende e non certo dallo Stato che, con tutti gli eventuali benefit che potrebbero essere distribuiti, non permetterebbe agli imprenditori di assicurare ai propri dipendenti tale ulteriore aiuto economico.
Tranne che l’idea di Letta sia stata solo concepita per gli statali ed anche in questo caso di difficile realizzazione. Ma meglio non chiarire e lasciare nel vago la proposta, perché nel merito raccoglierebbe solo tanti delusi da questo inquietante ammiccamento populista.
Promessa che, peraltro, supera anche quella del Berlusca di 1000 euro minimo per tutti i pensionati. Insomma Cetto La Aualunque in questo panorama si ritirerebbe dalla competizione elettorale, oppure verrebbe surclassato in termini di voti da altri concorrenti più spietati e spettacolari. Le comiche hanno avuto inizio, ma siamo solo alla presentazione del “trailer”.
Fino a ieri si voleva far credere che tutto stesse andando per il meglio, poiché Mario Draghi stava guidando l’economia verso un progressivo consolidamento. Oggi, al contrario, si mostra un’attenzione ossessiva alla tenuta dei conti e si vorrebbe evitare ogni minimo rischio di deficit, costi quel che costi.
Ma sino alle elezioni e forse più il “governo dei migliori” sarà ancora in carica e questo è una garanzia. Ma la politica prima o poi si dovrà appropriare dei propri ruoli con responsabilità, perché allora non avrebbe più senso dilaniarsi in una competizione politica se, difronte l’incapacità dei neo-eletti, si dovrà nuovamente fare ricorso a maggioranze arlecchino e a qualche competenza esterna al Parlamento. Che senso ha? Ecco la risposta che molti astensionisti hanno già dato.