PIATTO RICCO MI CI FICCO: LE NUOVE-VECCHIE STRATEGIE DELLA ‘NDRANGHETA IN LOMBARDIA.

Negli anni ’80 il vicequestore Giorgio Pedone “scopriva” la mafia a Vigevano, in provincia di Pavia. Sarebbe morto “suicidato”. Vent’anni dopo nella città della Minerva scoppiava il finimondo: la sanità in mano alla ‘ndrangheta. Con il Covid-19, se tanto mi dà tanto, l’occasione è troppo ghiotta.

MilanoNon abbassare la guardia. Un luogo comune di quelli che non si dovrebbero mai usare per scrivere correttamente. Eppure è una proposizione sintetica ed efficace e che, di questi tempi terribili, va bene almeno per due delle più temibili pandemie dell’era moderna: il Covid-19 e la mafia. Il virus è stata l’occasione e la mafia, ladra, non se l’è fatta scappare. Ancora una volta lo scenario degli appetiti è la Lombardia. Dove stanno arrivando i soldi e tanti. In tutti i settori. Forse mancheranno guanti e mascherine ma i soldi no. Qui ci sono da sempre. E le famiglie mafiose lo sanno. E, ormai, sono ben radicate sul territorio con migliaia di affiliati fra sodali delle cosche, politici, professionisti, pubblici dipendenti e talpe negli uffici di potere. Nei palazzi che contano.

Il mercato dei farmaci è un’occasione troppo ghiotta e milionaria per la mafia.

Rileggendo uno studio sulla criminalità organizzata di qualche anno fa edito da un’associazione antimafia piemontese, ho notato che ciò che accadeva decenni fa, specie in campo politico, continua a farsi strada anche in tempi di pandemia. Il contesto settentrionale offre un mercato straordinariamente variegato e vantaggioso specie nell’ambito sanitario: quello della salute è un settore dalle mille risorse in grado di produrre profitti, consensi, benefici politici e impunità. Un comparto che apre nuovi scenari devianti come quelli sui presunti investimenti nelle farmacie, infiltrazioni nel traffico illegale di farmaci e materiale sanitario, un numero apparentemente in ascesa di medici e farmacisti legati da parentele con esponenti del crimine organizzato o contigui con il malaffare.

L’Asl di Pavia, all’epoca il regno di Carlo Chiriaco.

Nell’indotto della salute pubblica è la ‘ndrangheta l’organizzazione mafiosa che detta legge. La spesa sanitaria in Lombardia rappresenta quasi l’80% dell’intero giro d’affari regionale. Ed il “sistema lumbard” si presta particolarmente alla penetrazione mafiosa sia per entità delle risorse economiche, sia per l’alto tasso di corruzione e clientelismi all’interno della pubblica amministrazione. Proprio in Lombardia, se ricordiamo bene, abbiamo avuto l’unico caso del Nord Italia in cui la mafia era direttamente in mano alla ‘ndrangheta: l’Asl di Pavia. Il caso Pavia è stato reso possibile grazie allo sviluppo di un meccanismo pervasivo di matrice politica autoreferenziale alla guida della gestione sanitaria. A questo modello seguivano un apparato ben rodato di fedeltà politiche che regolavano le nomine del personale medico e amministrativo; facili accessi al complesso corruttivo e meccanismi di controllo inesistenti o inefficienti. A questa eccezionale strategia seguiva il comportamento “contiguo” dello Stato che toglieva al pubblico per dare al privato. La spregiudicatezza di alcuni personaggi che ritenevano di essere dio in terra ha fatto il resto:

”… Qua trattiamo tutto…il medico di famiglia…li paghiamo noi…li gestiamo noi…questo è il centro di potere più grosso della provincia perché da noi dipendono tutti gli ospedali della provincia…tutti i medici di medicina generale…i cantieri li chiudiamo…la veterinaria…gli ospedali praticamente…siamo noi che diamo i soldi…siamo noi che controlliamo…mi sono fatto un cxxxo così per un anno e mezzo…poi mi sono organizzato…ora c’ho la squadra che funziona che è una meraviglia…ho tutti i capi dipartimento che mi adorano perché io li ho valorizzati pur essendo la maggior parte di sinistra e io di centro destra…”.

L’ex manager Carlo Chiriaco.

Così si esprimeva Carlo Antonio Chiriaco, direttore sanitario dell’Asl di Pavia durante un colloquio telefonico intercettato dalla Distrettuale antimafia di Milano. Nel luglio del 2000 scattarono centinaia di arresti di presunti affiliati alla criminalità calabrese ormai penetrata nell’indotto sanitario pavese in maniera stabile e profonda. Decine di testimoni riferiranno esattamente metodologi e comportamenti mafiosi dei clan nell’asse Pavia, Trezzano sul Naviglio, Corsico e Milano. Secondo le accuse Chiriaco avrebbe fatto di tutto, dal riscuotere gli interessi usuri per conto del clan Valle alle intimidazioni aziendali, dal dirottare i voti della ‘ndrangheta a favore di alcuni candidati politici sino a decidere i vincitori di gare d’appalto e tanto altro ancora. Insomma un vero e proprio boss in giacca e cravatta che ricopriva, come tantissimi altri, un ruolo chiave da dove era possibili pilotare qualsiasi azione delittuosa in campo finanziario e non.

La gigantesca Fondazione Maugeri di Pavia.

L’ex manager, poi condannato con i vertici della compagine mafiosa, uomini politici e sodali, aveva dimostrato come fosse possibile fare gli interessi della criminalità accentrando nelle proprie mani la gestione della sanità di un’intera provincia. E quando si ha in mano tutto è facile nascondere il boss che sta male circondandolo di attenzioni e di personale sanitario di prima scelta.

Ciccio Pakistan, killer sanguinario.

Cosi gli inquirenti avevano scoperto che personaggi di spicco di ‘ndrangheta e camorra come Pasquale Barbaro e Francesco Pelle detto Ciccio Pakistan, entrambi ‘ndranghetisti, e Giuseppe Setola, esponente del clan dei Casalesi, erano stati in cura negli ospedali pavesi senza correre alcun rischio. Chi erano questi galantuomini? Francesco Pelle, latitante dal 30 agosto 2007, sotto falso nome era un tranquillo ricoverato della clinica Maugeri di Pavia dal 31 luglio 2008. Al centro di un’inchiesta internazionale su un traffico di stupefacenti condotta dal dipartimento Antidroga degli Stai Uniti Ciccio Pakistan veniva arrestato dai Ros mentre i medici lo visitavano nella sua stanza. Stessa cosa per Giuseppe Setola.

Il pluriomicida Giuseppe Setola.

Il primario ospedaliero di clinica oculistica, di origini siciliane ma trapiantato a Pavia da molti anni, redigeva un perizia a favore del boss che consentiva al malavitoso killer di fuggire dagli arresti domiciliari e uccidere diciotto persone nel breve volgere di alcuni mesi. La mafia in Lombardia ha origini antiche che risalgono ai primi del ‘900 e i fatti di Pavia, o quelli di oggi in tempo di pandemia, non appartengono altro che alla storia moderna. Sembrano profetiche le parole di Ilda Boccassini, allora capo della Dda di Milano:”…La ‘ndrangheta punta al mercato farmaceutico – disse il magistrato oggi in pensione –  le colpe dei padri non ricadano sui figli ma ci ha stupito constatare come diversi giovani appartenenti alle famiglie mafiose scelgano di laurearsi in Farmacia”.

Ilda Boccassioni, già Dda di Milano.

Sarà una coincidenza ma è proprio così. Infatti le successive indagini mettevano in luce presunte strutture di riciclaggio nel settore delle farmacie su Milano, Corbetta ed altri centri sotto il controllo della ‘ndrina dei Romeo; un presunto traffico di farmaci e cospicua presenza di medici e dipendenti di farmacie imparentati con le famiglie dei boss calabresi. Oggi l’affare è troppo ghiotto e il “sistema lumbard” funziona alla grande ora come allora. E la storia continua.

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