É già chiaro a tutti come il nuovo Governo non riuscirà a dormire sonni tranquilli. Tutt’altro. Questi, anzi, potrebbero trasformarsi soprattutto in incubi per tutti noi, più di quanto non lo siano già. Specie se parliamo di pensioni, inflazione e caro vita.
Roma – La spesa per le pensioni in Italia, come si sa, è assai elevata e pesa moltissimo sui conti pubblici. A questo si aggiunge che le sue rivalutazioni, legate all’inflazione all’8%, rischiano di essere un aggravio insostenibile per le già sofferenti casse dello Stato.
La prima gatta da pelare per il nuovo Governo sarà, dunque, reperire 8-10 miliardi di Euro per il 2023 e ben 25 per rivalutarle, secondo le stime diffuse dalla ragioneria generale dello Stato. Ciò avverrà indipendentemente dall’eventuale modifica del sistema di calcolo, perché l’inflazione è quella e ci si deve adeguare.
Ma i problemi non sono finiti qui. L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) qualche settimana fa ha richiesto al Parlamento di poter ricorrere, data la situazione disastrosa dei conti, all’indebitamento per poter finanziare ulteriori misure per famiglie ed imprese. Inoltre, è stato chiesto al Governo di fare chiarezza sull’impatto dell’adeguamento all’inflazione delle pensioni, dato che a gennaio, come ogni anno, vengono indicizzate al caro vita.
Certo non si può dire che il nuovo Governo riuscirà a dormire sonni tranquilli: tutt’altro! Potrebbero trasformarsi anche in incubi per tutti noi, più di quanto non lo siano già. Sull’inflazione l’Istat ha dichiarato che non se ne aveva una all’8,4% dal lontano 1985. Inoltre, questa si è trainata l’aumento dei prezzi del gas e dell’energia elettrica, nonché dei beni alimentari. Secondo gli esperti, anche al netto dei costi energetici ed alimentari freschi, l’inflazione si è impennata, come non succedeva dal 1986 raggiungendo il 4,4%.
Le stime prevedono che il caro vita, nel prossimo biennio, ricadrà sulla spesa previdenziale per lo 0,7%. Ma fosse solo per un biennio, si potrebbe pure fare uno sforzo. Il problema è che l’effetto, nella misura dello 0,4% del Pil (Prodotto interno lordo, ovvero la ricchezza prodotta dal Paese) si protrarrà almeno per un ventennio, dal 2022 al 2045. Questo se la situazione resta così, perché di fronte ad una frenata del Pil, il quadro potrà essere a tinte più fosche di ora!
Poi ci si è messa anche la Commissione Europea a peggiorare la situazione, con l’assurda decisione di non approvare nessun price cap, ovvero un tetto al prezzo del gas. Negli anni ’80 del secolo scorso ebbe un clamoroso successo un testo dal titolo “Debito pubblico, ricchezza privata” a cura di Filippo Cavazzuti, economista, politico e accademico dell’Università di Bologna, scomparso l’anno scorso.
In pratica, con un’attenta analisi ed una grande mole di dati e grafici, emergeva quello che era già intuibile dal titolo: più aumentava il debito pubblico, più cresceva la ricchezza privata; più aumentano le disuguaglianze, più cresce la forbice: da una parte la moltitudine dei poveri e dall’altra i pochi che detengono la ricchezza e il potere che ne scaturisce. Un governo minimamente attento alla condizioni dei suoi cittadini, come minimo dovrebbe aumentare il prelievo fiscale ai ricchi per dare ai poveri.
Già, questo lo faceva San Francesco, che era appunto un santo, mentre noi comuni mortali dobbiamo ancora una volta essere vittime dell’antica “legge dell’ortolano” proveniente dalla tradizione popolare, ovvero “schizza via il cetriolo e va a finire nel deretano dell’ortolano”. Come a dire che a pagare, da che mondo è mondo, sono sempre gli stessi, gli ultimi.