Il cadavere di un informatico è riverso sotto una manciata di terra e coperto da un telo di plastica. Tre colpi alla nuca, un’esecuzione che odora di malavita. Chi è l’assassino di quel burbero ragazzone?
ASTI – È la notte del 2 agosto 2011. È buio pesto e quel sentiero che dal rustico di Paolo Pilla, la vittima, porta al brado boschetto pedecollinare in località Borgiona, sulle colline astigiane, va a mano a mano a diradarsi, scomparendo tra la vegetazione. Giuseppe, fratello di Paolo e vicino di casa, ed Emanuela Pulizzi, ex compagna del morto nonché madre di uno dei suoi figli, stanno perlustrando le campagne intorno al casolare acquistato dall’esperto di computer. Sono ormai tre giorni che l’uomo non da notizie di sé e sono tre giorni ormai che conoscenti e famigliari setacciano gli ultimi luoghi, a detta dei testimoni, in prossimità dei quali Paolo sarebbe stato visto. Amici e parenti procedono sotto la luce fioca delle torce fino a quando alcuni rigonfiamenti del terreno zeppo di arbusti ne attirano l’attenzione. Pare subito chiaro che quegli arbusti tranciati siano stati utilizzati per nascondere sottoterra qualcosa. Salta all’occhio anche un telo di plastica, utilizzato anche questo per nascondere il terreno smosso. Emanuela Pulizzi scosta le ramaglie rivelando tre fosse scavate di fresco. Sotto il telo che copre una delle fosse c’è il cadavere di Paolo Pilla.
Vittima e scena del crimine
L’autopsia curata dal medico legale Roberto Testi stabilisce che Pilla sarebbe stato ucciso lo stesso giorno della scomparsa. Il volto della vittima presentava escoriazioni post mortem procurategli presumibilmente dal suo assassino, o dai suoi assassini, per mezzo di un corpo contundente, con tutta probabilità una vanga. Fino al momento dell’autopsia si pensava che proprio i colpi di quel corpo contundente avessero provocato la morte di Pilla, solo in seguito il dottor Testi accerterà la presenza di tre piccoli fori sulla nuca riconducibili a proiettili sparati un’arma da fuoco calibro 22: “Tutti i colpi – secondo il referto necroscopico – sono stati sparati da breve distanza, ma non a contatto con il cuoio capelluto. I proiettili hanno attraversato la testa dell’uomo e sono poi fuoriusciti dal davanti”. Il cadavere non presentava alcun segno di colluttazione e, a parte l’iniziale stato di decomposizione, non c’erano altre lesioni. Il fatto che non viene rinvenuto alcun bossolo nei pressi delle spoglie suggerisce agli inquirenti che Pilla non è morto nel luogo dove è stato rinvenuto. Il 5 agosto il RIS di Parma effettuano un sopralluogo grazie al quale rinvengono a breve distanza dalla prima altre due tentativi di scavo del terriccio: “Tutte le buche – a detta degli esperti del Ris – sono state trovate nei pressi del letto di un torrente, a 150 metri di distanza dal rustico che Pilla aveva acquistato alcuni mesi fa a un’asta fallimentare.”. Sul posto, a pochi metri dal cadavere, veniva rinvenuta anche una vanga piantata nel terriccio, presumibilmente la vanga utilizzata per scavare le fosse e fare scempio della salma di Pilla.
Chi è Paolo Pilla?
Prima di quel tragico sabato 30 luglio 2011 Paolo Pilla è un perito informatico di 34 anni. È di estrazione borghese e il padre, Pasquale, è un noto antiquario di Torino, collezionista di preziosissime opere d’arte. La famiglia Pilla balzò agli onori della cronaca quando nel 1990 una cricca di rapinatori professionisti saccheggió lo studio antiquario in via Alfieri, sottraendo una ventina di dipinti di grande valore, tra i quali alcuni De Chirico.
La vittima aveva una relazione tormentata con l’ex compagna con la quale ha avuto un un figlio. In seguito alla separazione i rapporti si deteriorano a tal punto che i due arrivano a denunciarsi a vicenda per causa dei continui e violenti alterchi. In seguito a questa grave situazione sentimentale Paolo Pilla decide di trasferirsi in via degli Artisti, nel cuore di Torino, nello stesso stabile nel quale vive anche la madre. L’esperto di telematica ha da poco aperto un’azienda di consulenza informatica con alcuni soci e, sempre da poco, ha acquistato ad un’asta fallimentare il rustico sui colli astigiani, in località Villalba nella Borgiona. La vittima negli ultimi mesi investe molto del suo tempo nella ristrutturazione del rustico appena acquistato e che diventerà la sua tomba. Pilla viene descritto come una persona sanguigna, e oltre la turbolenta relazione con Emanuela non manca occasione per litigare con i suoi vicini di casa spesso per futili motivi. Uno di questi, Antonio D’Andrea, verrà indagato e poi prosciolto ma rimarrà un sospetto: ha davvero detto tutta la verità? Ma ciò che inquieta di più gli investigatori sono le sue frequentazioni, decisamente pericolose.
La ricostruzione e le indagini
L’ultimo sabato di luglio del 2011 Paolo Pilla pranza in un ristorante cinese a Porta Palazzo con alcuni conoscenti, finito il pranzo passa dalla madre con cui condivide il primo pomeriggio. Mamma Agata affermava agli inquirenti che improvvisamente il figlio le diceva di andare via per sbrigare una faccenda di lavoro. L’uomo saliva sulla sua Peugeot 206 grigio fumo e spariva nel nulla. Arriva la sera e di Pilla non si hanno notizie. Il telefono fisso di casa squilla a vuoto. A quel punto la preoccupazione prende il sopravvento sulla madre che decide di informare l’altro figlio, Giuseppe. Il mattino successivo i due decidono di andare nell’appartamento in cui Paolo risiede. Tutto è perfettamente in ordine, non sembra inoltre che l’uomo abbia dormito a casa, come suggerisce la camera da letto, praticamente intonsa.
Il portafoglio dell’uomo è poggiato sul tavolo della cucina, come i due telefoni in uso alla vittima. L’unica cosa che manca è la patente di guida. Passano altri due giorni, poi il macabro ritrovamento nella notte del 2 agosto. I carabinieri del Comando provinciale di Torino rinvengono la Peugeot della vittima in piazza Borromini. La vettura viene messa immediatamente a disposizione del RIS, ma risulterà non celare alcun indizio significativo. Tramite le videocamere di sorveglianza dei negozi vicini, i militari tentano di ricostruire l’itinerario dell’automobile della vittima e, grazie alle registrazioni di un esercizio commerciale di via Casale, riescono ad accertare la presenza di altre due persone a bordo dell’auto di Pilla in compagnia proprio della vittima, nel pomeriggio di quel maledetto 30 luglio. Gli inquirenti si concentrano dunque sul profilo dell’informatico e sulla sua rete di conoscenze. Oltre alle denunce per maltrattamenti ai danni dell’ex compagna l’uomo risulta pregiudicato per reati minori ma nulla che possa spiegare quella barbara esecuzione, nulla se non un conoscente colluso con la criminalità organizzata. La vittima infatti è amico di Massimiliano Ungaro, detto “Max il lavandaio”, affiliato ad una ‘ndrina e compagno di merende di Paolo con il quale dividerebbe traffici illeciti.
Sarebbe stato Ungaro ad aiutare economicamente Pilla nell’acquistare all’asta quel casolare da ristrutturare, anche perchè la vittima non avrebbe avuto l’intera somma da sborsare. Ungaro veniva arrestato all’inizio del 2016 in una maxi operazione dei carabinieri contro un gruppo di affiliati alla mafia calabrese specializzato in estorsioni e spaccio di droga, con base nel bar Gran Galà di piazza Sabotino. Un mese dopo l’arresto Ungaro dichiarava: “Se iniziassi a collaborare quali vantaggi avrei? Ci sto pensando da un po’“, e chiede di essere sentito in Procura. Durante l’interrogatorio gli investigatori gli chiedono dell’omicidio Pilla, in quanto una delle ultime persone ad averlo visto in vita, ma Ungaro dichiara di non sapere nulla riguardo al fattacio. Non essendoci alcuna prova a carico di Ungaro quella pista veniva abbandonata.
Poco prima della pandemia Ungaro rilasciava un’intervista a Torino Cronaca al riguardo del caso Pilla: “Per quanto riguarda Pilla non faccio null’altro che confermare quanto detto in molteplici occasioni. In primis che non so nulla del suo omicidio, anche se alcuni giornali fanno di tutto per raccontare il contrario inventandosi dichiarazioni che io avrei reso solo per il gusto di aumentare la tiratura. In secondo luogo sicuramente ho un mio pensiero, ma dopo quello che mi hanno fatto mi vedo ben distante dal manifestarlo”. Parole al vento che lasciano il tempo che trovano.
Epilogo
“Prima di morire, ormai sono anziana, vorrei tanto conoscere la verità. Sapere chi ha ucciso mio figlio. E’ una storia brutta, rimasta sospesa ed è un tormento vivere senza sapere cosa sia davvero accaduto quella sera di 12 anni fa in quella casa sulla collina di Rivalba. Ho ancora fiducia nello Stato e spero che i carabinieri risolvano questa vicenda tormentata”. Questo è il pensiero di Agata Gagliardi, madre della vittima, rilasciate ai giornalisti nel 2013. Quattordici anni dopo il cold-case è rimasto tale. Il mistero delle fosse, l’esecuzione di stampo mafioso e tutti i segreti che gravitano intorno a questo fatto di sangue sono finiti sepolti in una di quelle fosse, proprio come il cadavere di Paolo.