Specie di questi tempi occorre interpellare più spesso direttori e consulenti delle nostre banche per rivedere investimenti e prodotti su cui gli istituti di credito hanno riversato i sacrifici di una vita di milioni di risparmiatori. Le leggi tutelano poco ma è importante rivedere contratti e obbligazioni
I soldi depositati in banca sul conto corrente non sono più nostri e a dirlo è la legge: è proprio questo il messaggio che ultimamente sta circolando sul web, generando molta confusione e preoccupazione. In effetti, leggere notizie di questo genere non fa che accrescere il terrore che si avveri il più grande incubo di tutti i risparmiatori, ovvero quello di recarsi in banca e non vedersi restituito il proprio denaro.
Il riferimento è l’articolo 1834 del Codice Civile, che recita:
“Nei depositi di una somma di denaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante, con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito tra le parti o dagli usi. Salvo patto contrario, i versamenti e i prelevamenti si eseguono alla sede della banca presso la quale si è costituito il rapporto”.
Cerchiamo di spiegare, in termini non troppo tecnici, quello che in realtà significa e implica questa legge. Secondo l’articolo 1766 del Codice Civile, il deposito è il contratto con il quale una parte (depositario) riceve dall’altra (depositante) una cosa mobile, con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura. Il conto corrente è un deposito irregolare di denaro (articolo 1782 Codice Civile), con il quale il depositario (la banca) diviene proprietario del bene ed è obbligato alla restituzione del tantundem eiusdem generis, locuzione latina che significa la stessa quantità (di cose) dello stesso genere, al depositante. In un certo senso si applicano le norme previste per il mutuo, essendo anche quest’ultimo una forma di deposito irregolare, con la differenza che l’accipiens, colui che riceve, in tal caso usa e consuma quello che ha ricevuto.
In questa operazione bancaria passiva, il contratto soddisfa gli interessi di entrambe le parti. Il depositante, oltre a cautelarsi da eventuali smarrimenti o furti, può usufruire del vantaggio economico dovuto agli interessi che le somme depositate producono. La banca, mediante la raccolta del denaro, accumula capitali da concedere onerosamente in prestito a terzi, oppure da accantonare a riserva o da destinare ad altri scopi.
In altre parole, il denaro è un bene fungibile: una banconota da 100 euro ad esempio è esattamente uguale a un’altra da 100, oppure a due da 50. Quando effettuiamo un versamento sul nostro conto, è evidente che non possiamo né immaginare né pretendere che ci vengano rese le stesse banconote al momento del prelievo, ma la banca ci restituirà lo stesso valore al netto di eventuali interessi, commissioni, eccetera. Riassumendo: i correntisti perdono la proprietà delle banconote depositate fino al momento in cui scade il termine convenuto tra le parti o si fa richiesta della restituzione, ma non la titolarità del proprio deposito.
Diverso è invece il caso in cui fallisca un istituto di credito. Cosa può succedere al risparmiatore? Nella remota, ma non impossibile, ipotesi che una banca dovesse fallire, si aprirebbe un meccanismo regolamentato dall’Unione Europea, entrato in vigore dal 1° gennaio 2016, che si chiama bail-in, dove i primi a supportare le perdite sono i soci della banca. Poi sarà il turno degli investitori che hanno comprato azioni e obbligazioni e, nella peggiore delle ipotesi, se le perdite non dovessero essere assorbite azzerando i crediti di tali soggetti, si attingerà dai conti correnti dei clienti, ma solo da quelli con un deposito superiore a 100 mila euro.
Inoltre, questi depositi possono essere utilizzati con un vincolo massimo dell’8% e, una volta avviata la liquidazione coatta amministrativa, la banca sarebbe ceduta a un’altra e probabilmente la parte “sana” sarebbe già stata ceduta a un altro istituto: la liquidità non verrebbe intaccata. Tuttavia, è sempre preferibile avere un conto con un saldo inferiore a 100 mila euro e, in caso contrario, aprirne un altro in un istituto diverso.
Per i conti con giacenze inferiori, invece, è prevista una garanzia e, conseguentemente, la restituzione del denaro: nello specifico i soldi verranno rimborsati dal Fondo interbancario che copre tutti i conti correnti fino a 100 mila euro aperti nella stessa banca, a prescindere dal numero di conti posseduti. Se si possiede un conto cointestato, la garanzia del conto è di 200 mila euro, in quanto è fissata per ogni singolo depositante. I depositi di titoli e le somme investite in polizze assicurative non concorrono a ripianare le perdite delle banche in fallimento.
Nel caso in cui la banca dovesse essere salvata dal fallimento subendo una fusione o incorporazione in un altro istituto di credito, il rapporto proseguirà con il nuovo soggetto senza subire perdite. In ogni caso, il consiglio è quello di controllare la salute della banca in cui si ha intenzione di aprire un conto corrente attraverso i principali indicatori che servono per valutare la solidità patrimoniale degli istituti, come ad esempio i cds, credit default swap, che misurano il rischio di fallimento. Bisogna imparare a selezionare le banche. Esagerato? È meglio non rischiare.