Salvini è in ambasce ma sa bene che la strada per l’Interno è impercorribile. Sia per la sua posizione giudiziaria, sia per una certa riluttanza di alcuni dei suoi e della stessa Meloni. Ormai è chiaro. Dunque a che cosa sarà destinato il segretario di un partito che esce fortemente ridimensionato dalle elezioni?
Roma – Inutile girarci intorno il vero problema per Matteo Salvini non è Putin ma il processo per sequestro di persona che gli impedirebbe di tornare a capo del Viminale. Insomma quel processo diventa un muro invalicabile che barra la strada alla sua ambizione di tornare ministro. E stando cosi le cose appare impensabile che il capo dello Stato possa accettare la proposta di nomina. Il resto sono favole ad eccezione di quella che anche all’interno della Lega qualcuno vedrebbe di “malocchio” il ritorno del Capitano all’Interno.
Il governo Conte 1 colpisce ancora, così come il Papeete. E di brutto. In ogni caso l’ipotesi del bis al ministero dell’interno è praticamente impercorribile e il primo a saperlo dovrebbe essere proprio Salvini, ma ogni strada non riportava a Roma? Sicuramente non in quella sede. La domanda da porsi dunque è una sola: perché il leader del Carroccio insiste o farebbe insistere i suoi fedelissimi affinché il segretario della Lega sieda ancora una volta al Viminale? Certamente per alzare l’asticella, dice qualcuno. Oppure per sedersi al tavolo delle trattative con Giorgia Meloni e gli alleati del centrodestra partendo dalla premessa di ottenere una lauta ricompensa per la rinuncia a rientrare nel dicastero in cima alle sue preferenze da sempre. Vero o falso?
Questo aspetto sicuramente c’è ma forse non è il solo. Questa pedante insistenza punta anche a mettere in difficoltà Meloni. Ad attribuirle la responsabilità di questo “no” per poi soggiacere a veti posti altrove, a minarne l’immagine di premier autonomo prima ancora che riceva l’incarico dal Capo dello Stato. Del resto anche le ripetute richieste di procedere allo scostamento di bilancio per attenuare il caro energia sulle bollette vanno un po’ nella stessa direzione.
È come se Salvini stesse ancora “comiziando”, ammesso che abbia mai smesso, per tentare di garantire sicurezza ed intransigenza nelle città, di chiudere le frontiere agli immigrati e di scontare, nello stesso tempo, le bollette salate che rovinano gli italiani.
Meloni invece si mette di traverso e intende impedirlo. Del resto le elezioni ci sono già state ed il verdetto elettorale per la Lega è stato lapidario, una sonora bocciatura della politica di Salvini. Il fermento della Lega ed il ritorno di Bossi, d’altronde, agita le acque del Carroccio e lo stesso segretario.
All’interno della Lega, come se non bastasse, sta nascendo un altro movimento che ha come un’unica spinta quella di riportare al centro la questione settentrionale. Questa vicenda la dice lunga sul vento che spira nel Nord Est e non solo. Il voto a Giorgia Meloni ha legittimato FdI in Veneto e Lombardia, pur sapendo che non si tratta di un partito molto attento alla questione settentrionale, ecco perché si teme che queste regioni scompaiano dall’agenda politica del governo, senza riportare in auge il concetto di autonomia. Un’analisi certamente azzardata, ma che giustifica l’insofferenza di molti leghisti, almeno di quelli che sono rimasti. Il cerchio magico che sta attorno al leader soffre e teme di essere definita una parentesi.
Comunque lo spettacolo a cui assistiamo non è altro che la naturale reazione alla mancanza di risposte adeguate, che certamente non fa presagire una fase tranquilla nel partito. L’insofferenza della lega, però, rende minato il campo che dovrà percorrere la leader della destra. Il guanto di sfida è lanciato, ma il karakiri è una opzione da non sottovalutare. Vedi i dem che in quanto a suicidi non sono secondi a nessuno.